Emmanuel Todd: “Se la Russia vince, l’Europa diventa libera”

Lo srorico e antropologo francese, celebre per aver previsto il crollo dell’URSS, scuote l’Occidente: solo una sconfitta americana, sostiene, potrà restituire all’Europa la sua libertà. Tra intuizione geopolitica e provocazione culturale, il pensiero di Todd divide il mondo accademico e riapre la riflessione sul destino del continente

L’antropologo, storico e demografo francese Emmanuel Todd.

C’è un momento, nell’intervista concessa da Emmanuel Todd al Corriere di Bologna, in cui il tono dello studioso francese si fa netto, quasi profetico. “Se la Russia venisse sconfitta in Ucraina, la sottomissione europea agli americani si prolungherebbe per un secolo. Se, come credo, gli Stati Uniti verranno sconfitti, la Nato si disintegrerà e l’Europa sarà lasciata libera”.

Sono parole che scivolano nel dibattito pubblico come una scheggia di vetro, perché capovolgono la prospettiva con cui l’Occidente guarda alla guerra. Non è la Russia, secondo Todd, a determinare il destino dell’Ucraina: è l’Ucraina, semmai, a rivelare il destino dell’Europa.

Dietro quella frase, “Se la Russia vince, l’Europa diventa libera”, non c’è solo una provocazione intellettuale, ma un intero impianto teorico, maturato nel suo saggio ‘La Défaite de l’Occident’ (‘La Sconfitta dell’Occidente’). L’idea, tanto semplice quanto destabilizzante, è che la guerra in Ucraina rappresenti uno specchio: ciò che l’Occidente vede come difesa dei valori democratici, Todd lo legge come la prova di una subordinazione prolungata. In questa visione, la Nato non sarebbe una barriera difensiva, ma una gabbia dorata che tiene l’Europa vincolata a Washington.

Nell’intervista italiana, lo storico francese arriva a definire “ridicola per uno storico serio” la prospettiva di una Russia pronta a invadere l’Europa. Con i suoi 144 milioni di abitanti, un territorio sterminato e un’economia ancora fragile, dice, Mosca non avrebbe né mezzi né volontà per spingersi oltre i confini che ambisce a riconquistare. “L’esercito ucraino è in ritirata”, aggiunge, “e fatica a reclutare soldati, mentre le sanzioni occidentali hanno danneggiato più l’economia europea che quella russa”.

È su queste basi che Todd costruisce la sua ipotesi: una sconfitta americana aprirebbe un varco per la liberazione europea. Una prospettiva che suona come eresia per molti analisti, ma che egli difende con convinzione. “L’Ucraina è servita agli Stati Uniti per consolidare la subordinazione del vecchio continente”, afferma, sostenendo che l’Europa, pur credendosi protagonista, si muove ancora all’interno di uno schema dettato oltreoceano.

Ma chi è Emmanuel Todd? Un antropologo, storico, demografo e saggista francese, tra le voci più originali e controcorrente del pensiero europeo contemporaneo. Le sue ricerche spaziano dai sistemi familiari alle ideologie politiche, fino alle dinamiche geopolitiche globali, che analizza con uno sguardo lucido e provocatorio.
È noto soprattutto per la sua precoce previsione del crollo dell’Unione Sovietica, formulata già nel 1976 nel saggio ‘La Chute Finale’ (‘Il crollo finale’), in cui individuò i segnali di crisi attraverso indicatori demografici e culturali più che economici, in netto anticipo rispetto agli analisti dell’epoca.

Negli ultimi decenni, Todd ha firmato opere che hanno lasciato un segno profondo nel dibattito internazionale: ‘Après l’empire’ (‘Dopo l’impero’, 2002), dove anticipa il declino dell’egemonia americana; ‘Qui est Charlie?’ (‘Chi è Charlie?’, 2015), un’analisi provocatoria sulla società francese dopo gli attentati di Parigi; e infine ‘La Défaite de l’Occident’ (‘La sconfitta dell’Occidente’, 2024), in cui accusa l’Europa di essersi trasformata in una “dipendenza geopolitica” degli Stati Uniti, perdendo la capacità di comprendere la Russia, la sua storia e la sua mentalità collettiva.

Oggi, Todd è considerato una delle voci più iconoclaste del panorama intellettuale europeo. Difende una visione multipolare del mondo, in cui la Russia, l’Asia e i Paesi emergenti svolgono un ruolo crescente, mentre l’Occidente attraversa una profonda crisi di valori e di legittimità. Il suo approccio, che intreccia antropologia, demografia e geopolitica, è diretto e provocatorio: un metodo che affascina e divide. C’è chi lo considera un lucido analista del declino occidentale, e chi, invece, lo accusa di essere un polemista nostalgico dell’antiamericanismo francese.

Nel suo libro, Todd disegna un Occidente stanco e disincantato, travolto dal nichilismo e dalla perdita di fede collettiva. Parla di una “assenza di credenze” che avrebbe eroso ogni legame sociale, trasformando le democrazie in gusci vuoti. È da questo vuoto morale, secondo lui, che nasce la difficoltà occidentale a sostenere conflitti lunghi, mentre la Russia – per quanto autoritaria – troverebbe forza nella coesione tradizionale e nella semplicità dei suoi obiettivi.

La tesi non è passata inosservata. In Francia, la Fondation Jean-Jaurès ha definito ‘La Défaite de l’Occident’ “un pamphlet reazionario mascherato da saggio”, accusandolo di “riprendere consapevolmente elementi di propaganda russa”. Nella scheda che il think tank gli dedica si parla di “moltiplicazione di errori fattuali” e di “ragionamenti che partono dalle conclusioni e non da ipotesi verificabili”.

Todd non si è sottratto alle accuse. Ha risposto di non essere filorusso, né simpatizzante del Cremlino. Dice di voler “guardare i fatti con disincanto”, di leggere la storia senza la lente ideologica che, a suo avviso, domina le redazioni europee. “Se la stampa mi accusa di vivere nel sogno, preferisco che siano i fatti storici a parlare”, ha dichiarato al Corriere di Bologna.

Eppure la critica più pesante che gli viene mossa non riguarda il merito politico, ma il metodo. Molti studiosi gli rimproverano un ragionamento a rovescio: Todd non costruisce un’ipotesi per verificarla, ma formula una conclusione – il declino dell’Occidente – e seleziona i dati che la sostengono. “Più ingegneri in Russia che negli Stati Uniti”, “resilienza industriale di Mosca”, “sanzioni inefficaci sull’economia russa” diventano indizi suggestivi, ma non prove strutturali. Il suo è un pensiero affascinante, ma vulnerabile: evocativo per i lettori, meno solido per gli analisti.

Resta allora la domanda che attraversa il suo intero discorso: può davvero emergere un’Europa libera da una vittoria della Russia? Todd non offre una risposta pratica. Non descrive un modello politico, né delinea una futura alleanza tra Stati sovrani emancipati da Washington. La libertà che evoca è una condizione ipotetica, più simbolica che istituzionale, un’assenza di dominio piuttosto che la costruzione di un nuovo ordine. È, in altre parole, una libertà da qualcosa, non ancora una libertà per qualcosa.

Oggi, la sua voce continua a dividere. Alcuni lo vedono come un visionario che osa dire ciò che altri tacciono. Altri lo giudicano un intellettuale intrappolato nella retorica del controcampo, uno specchio rovesciato dell’Occidente che contesta. In ogni caso, Emmanuel Todd costringe chi lo ascolta a una domanda scomoda: e se la dipendenza europea dagli Stati Uniti fosse davvero il prezzo della sicurezza?

“Se la Russia vince, l’Europa diventa libera” resta una formula che spiazza e irrita, ma è anche un invito a guardare oltre le certezze. Nel mondo in cui viviamo, forse la sua provocazione non è una profezia, ma uno specchio. Ci obbliga a chiederci quanto dell’Europa che difendiamo sia davvero nostra – e quanto appartenga ancora, come scrive Todd, “al riflesso di un impero che non vuole cedere il passo”.

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