Il Duce nei cuori dei giovani di FdI

Dai cori fascisti di Parma all’aggressione del giornalista romano, riemerge un’Italia pericolosamente smemorata. L’antifascismo non è un’opinione, è la base della Repubblica

Marcia su Roma

A Parma, nel 2025, ottant’anni dopo la Liberazione, si inneggia ancora al Duce. Dalla sede locale di Fratelli d’Italia, si levano cori che celebrano la camicia nera e Benito Mussolini, nella ricorrenza della Marcia su Roma. È accaduto davvero, e non in qualche scantinato clandestino, ma nei locali di un partito che oggi esprime il Presidente del Consiglio e il Presidente del Senato della Repubblica italiana.

Il video, divenuto virale sui social, mostra giovani militanti di Gioventù Nazionale, l’organizzazione giovanile di Fratelli d’Italia, intonare versi che non lasciano spazio a interpretazioni: “Ce ne freghiamo della galera, camicia nera trionferà”, con l’immancabile chiusura al grido di “Duce, Duce”. È accaduto il 28 ottobre, la data simbolo della marcia su Roma. La coincidenza non è casuale: è una celebrazione.

Il commissariamento e l’ambiguità

Il partito ha reagito con il consueto riflesso condizionato del “commissariamento immediato”, seguito dalle smentite incrociate. Ma al di là della gestione interna, la sostanza resta: dentro Fratelli d’Italia, il culto di Mussolini sopravvive, non come nostalgia marginale, ma come residuo ideologico che riaffiora periodicamente, puntuale come un rito.

Predappio e la memoria che non passa

Non è la prima volta. Ogni anno, nel paese natale del Duce, a Predappio, si radunano nostalgici del regime che marciano in camicia nera, braccio teso, tra bandiere e saluti romani. Non si tratta di una pittoresca manifestazione di folklore, ma della spia di una malattia che non è mai stata guarita. Il fascismo, lungi dall’essere solo un ricordo storico, continua a vivere come sottotesto di una destra che non ha mai reciso del tutto il cordone ombelicale con il proprio passato.

Il silenzio di Giorgia Meloni

Mentre la premier Giorgia Meloni evita parole nette, preferendo il silenzio o la formula dell’“incompatibilità politica”, la realtà parla più forte, nelle sezioni del suo partito si canta ancora il nome del Duce. E non c’è commissariamento che possa cancellare questo dato culturale.

L’Italia democratica si fonda su un principio limpido, il rifiuto del fascismo. Non come gesto ideologico, ma come patto costituzionale. È la Costituzione, quella su cui Meloni ha giurato, a dire che “la Repubblica è fondata sul lavoro” e sulla libertà, non sul mito dell’uomo forte e della violenza politica.

L’aggressione al giornalista romano

Ma oggi, mentre i giovani di un partito di governo celebrano la Marcia su Roma, a Roma stessa un giornalista viene aggredito davanti alla moglie e al figlio per aver indossato una maglietta antifascista. Il simbolo dell’antifascismo, cioè il simbolo della nostra stessa democrazia, diventa pretesto per la violenza. È l’immagine più chiara di un Paese che dimentica la propria storia, che tollera l’intollerabile.

Il fallimento della pedagogia democratica

Il problema non è solo di ordine pubblico, ma di cultura politica. Se dentro un partito che governa l’Italia c’è ancora chi canta “camicia nera trionferà”, significa che la pedagogia democratica ha fallito. Significa che il fascismo non è stato sconfitto definitivamente, è stato solo messo in sonno, pronto a risvegliarsi quando trova il contesto favorevole.

Le radici che riaffiorano

La destra italiana continua a convivere con questo fantasma, fingendo di non vederlo. Lo chiama “folklore”, lo archivia come “errore di pochi”, ma non osa mai definirlo per quello che è: un rigurgito di autoritarismo, un tradimento della Repubblica. E mentre le opposizioni chiedono una condanna chiara, Meloni tace. Come se il silenzio potesse bastare a prendere le distanze da una cultura che è parte del suo stesso Dna politico.

Le radici non mentono, scriveva qualcuno. E quando le radici affondano nel culto del Duce, nel mito della forza, nel disprezzo per la democrazia liberale, non c’è “commissariamento” che possa cancellarle. La destra italiana, se vuole essere credibile come forza di governo in una Repubblica democratica, deve dire una volta per tutte da che parte sta, dalla parte della Costituzione antifascista o dalla parte della nostalgia nera.

Finché non lo farà, ogni 28 ottobre continueremo a sentire, da qualche sede di partito, lo stesso coro che l’Italia democratica avrebbe dovuto dimenticare per sempre.