Il coraggio della verità: omaggio ad Aldo Cazzullo

Sulle macerie del revisionismo, la voce limpida di Aldo Cazzullo ci ricorda il disastro del fascismo mentre la destra affonda nella sua caricatura ideologica

Aldo Cazzullo

C’è un tratto raro, quasi in via d’estinzione, tra gli intellettuali italiani contemporanei: la coerenza. Aldo Cazzullo ce l’ha. E per questo risplende, in tempi in cui molti, politici, opinionisti, dirigenti, si rifugiano dietro la neutralità o, peggio, dietro un revisionismo pigro e opportunista. Al Salone del Libro di Torino, Cazzullo ha fatto ciò che in troppi evitano: ha detto che il fascismo è stato un male assoluto. Senza esitazioni, senza ambiguità. Non per provocare, non per guadagnarsi titoli: per rispetto della verità storica e della dignità civile.

Con la consueta eleganza e fermezza, lo scrittore e firma autorevole del Corriere della Sera ha ricordato ciò che dovrebbe essere scolpito nella memoria collettiva: il fascismo fu un disastro totale, non solo sul piano morale, ma anche militare, politico ed economico. Chi oggi ne esalta “l’architettura” o il presunto decisionismo, dimentica, o vuole dimenticare, che a quelle colonne di marmo corrispondono due milioni di case distrutte, una guerra scellerata, leggi razziali, deportazioni, dittatura.

Cazzullo ha un merito grande, non si rifugia nell’antifascismo di maniera, ma lo rivendica con la dignità di chi sa che alcune battaglie vanno combattute anche se non sono più “di moda”. E nel farlo, inchioda una classe politica che invece di riflettere sulla propria storia, si aggrappa a slogan identitari, a personaggi folkloristici, a operazioni nostalgiche.

La fotografia del governo Meloni, dopo due anni e mezzo, è desolante. L’ultima prova? Le nomine a vicesegretari della Lega: il generale Vannacci, noto più per i suoi deliri ideologici che per un pensiero strutturato, e Silvia Sardone, icona del populismo più sfacciato e privo di visione. In un paese serio, simili profili verrebbero relegati al folclore. Qui invece avanzano come classe dirigente. La Lega si radicalizza, Fratelli d’Italia rincorre, e il risultato è una destra che gareggia con se stessa su chi è più estrema, più “identitaria”, più muscolare.

E Forza Italia? Il partito di Tajani si dice “liberale”, ma in realtà appare come un’appendice incolore del melonismo. Incapace di prendere distanze reali, di marcare un’identità autonoma, di rivendicare persino l’eredità moderata di cui si fregia. Il centrodestra è ormai un monolite dominato da pulsioni reazionarie, incapace di proporre una visione moderna, europeista, democratica. La retorica dell’“orgoglio italiano” e della “sovranità” è divenuta una coperta logora che non riesce a nascondere il vuoto di idee.

In questo scenario, la voce di Aldo Cazzullo si staglia come un presidio etico e culturale. Non si limita a commentare: interpreta, analizza, ricorda. Fa cultura, in un senso alto e civile. E lo fa con una passione sobria, mai gridata, ma tagliente. La stessa che gli consente di dire, senza farsi schiacciare dalle convenienze: “Il fascismo non mi piace. Non smetterò mai di dirlo”.

C’è più politica viva nelle parole di Cazzullo che in mille comizi. Più amore per l’Italia in un suo saggio che in un’intera legislatura della destra al potere. Sta a noi scegliere da che parte stare. Se con chi riscrive la storia o con chi la onora. Se con chi urla slogan vuoti o con chi coltiva memoria e pensiero. Se con i generali improvvisati o con gli intellettuali veri.