Cinque mesi senza notizie: cresce l’attesa per Alberto Trentini

Ancora nessuna comunicazione da parte del cooperante detenuto in Venezuela. La famiglia chiede risposte. Il governo italiano rassicura: «Impegno costante per il suo ritorno».

Alberto Trentini

Alberto Trentini, cooperante veneziano attivo con la Ong Humanity&Inclusion, è detenuto in Venezuela dal 15 novembre 2024. Da quel giorno, nessuna telefonata, nessuna lettera, nessun segno che possa rassicurare familiari e amici. Lontano quasi 9.000 chilometri da casa, Alberto vive in un isolamento totale che preoccupa sempre di più.

La madre, Armanda Colluso, non riceve sue notizie da mesi. L’unica certezza è il suo attuale luogo di detenzione: il carcere El Rodeo I, struttura tristemente nota per ospitare detenuti politici.

Mobilitazione in Italia: una voce per Alberto Trentini

La pagina Facebook “Alberto Trentini Libero” è diventata il centro virtuale di una battaglia civile e umana. Amici, colleghi e cittadini comuni si uniscono nel chiedere, a gran voce, un intervento deciso per ottenere chiarezza e giustizia.

Il digiuno a staffetta, organizzato in tutta Italia, è arrivato al suo 43° giorno con oltre 1.700 partecipanti. La petizione lanciata su Change.org sfiora le 100.000 firme. Anche diverse città hanno mostrato solidarietà esponendo striscioni e simboli in sostegno alla causa.

Il contesto politico e diplomatico: flebili spiragli per Alberto Trentini

Sebbene i motivi dell’arresto di Alberto non siano mai stati ufficializzati, il contesto è chiaro: il regime venezuelano di Nicolás Maduro, da tempo oggetto di critiche internazionali, cerca legittimazione dopo elezioni molto controverse.

Nelle ultime settimane, il numero dei prigionieri politici è sceso drasticamente, anche in vista della Pasqua e della maxi tornata elettorale del 25 maggio. Questo, unito alla crescente pressione esterna dopo la revoca delle concessioni petrolifere da parte degli Stati Uniti, potrebbe favorire un’apertura diplomatica.

Le rassicurazioni della politica italiana

Una telefonata della premier Giorgia Meloni alla madre di Alberto ha riportato un minimo di fiducia: il governo, ha detto, è attivo per riportarlo a casa. Anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha confermato che l’Italia sta lavorando con gli Stati Uniti per la liberazione dei detenuti politici.

Tuttavia, a oggi, non esiste ancora un riscontro diretto da parte di Alberto. L’assenza di qualsiasi contatto alimenta preoccupazioni sulle sue condizioni fisiche e mentali.

Intimidazioni e sorveglianza sui sostenitori in Venezuela

Domenica 13 aprile, una veglia organizzata dal Clipp (Comitato per la liberazione dei prigionieri politici) davanti al carcere El Rodeo ha visto la partecipazione di numerosi attivisti. Tuttavia, la presenza di agenti non identificati, che hanno fotografato e filmato i presenti, è stata denunciata come un tentativo di intimidazione e controllo illegale.

Una richiesta semplice: poter sentire la sua voce

In mezzo a trattative diplomatiche, petizioni e manifestazioni, la richiesta di chi ama Alberto resta la più semplice e umana: poter sapere come sta. Parlare con lui. Riascoltare la sua voce.

Un piccolo gesto, che oggi sembra un lusso irraggiungibile, ma che rappresenterebbe il primo vero passo verso la libertà.