
Con l’aumento dei dazi doganali imposti dall’amministrazione Trump, soprattutto nei confronti dei prodotti importati dalla Cina, imprenditori e aziende cinesi hanno adottato una strategia di marketing aggressiva e diretta al consumatore. Il nuovo terreno di conquista è TikTok, dove video virali mostrano borse, scarpe e abbigliamento prodotti nelle stesse fabbriche che riforniscono i brand di lusso occidentali, ma venduti a una frazione del prezzo. L’unico dettaglio mancante? Il logo.
Fabbriche di lusso, ma senza firma
I video, spesso registrati all’interno di stabilimenti manifatturieri di Guangzhou, Dongguan e Hangzhou, mettono in luce una realtà poco nota: molti dei marchi più famosi al mondo producono (o rifiniscono) parte della loro merce in Cina. Un segreto ben noto agli addetti ai lavori, ma raramente ammesso pubblicamente dai brand, che fondano parte del loro prestigio sull’origine europea della produzione.
Uno dei tiktoker più noti, @eason_chinabusiness, rivela che la seta di Louis Vuitton, ad esempio, proviene in gran parte da Hangzhou, mentre la manifattura delle borse è localizzata in città cinesi industriali. Eppure, l’immagine del “Made in France” o “Made in Italy” continua a dominare le campagne pubblicitarie delle maison.
La rivoluzione del prezzo: “solo senza logo”
Un imprenditore cinese, protagonista di uno dei video più popolari, smonta letteralmente la leggenda della borsa Hermès Birkin, elencando voce per voce i costi reali dei materiali e della manodopera: pelle, cuciture, oli, accessori. Il costo finale di produzione? Circa 1.395 dollari. Eppure, una Birkin originale può costare anche 30.000 euro. “Il 90% del prezzo è il marchio”, afferma l’artigiano.
Per questo, l’alternativa proposta è semplice: acquistare lo stesso prodotto, con gli stessi materiali e lavorazioni, ma senza marchio. Una Birkin “senza logo” può così essere venduta a 1.000 dollari o anche meno.
TikTok e WhatsApp: la nuova filiera del lusso parallelo
Influencer come Nian, conosciuto come Luxebag, utilizzano TikTok per promuovere le loro creazioni e avviano le vendite tramite messaggi diretti o link a siti e-commerce. Le borse non sono contraffazioni nel senso stretto: non espongono il marchio registrato, ma riproducono fedelmente design e materiali.
Nian, per esempio, mostra modelli realizzati nella fabbrica di famiglia aperta nel 2000 a Guangzhou. Le sue “Brikin” (sì, con la k) vanno da 500 a 4.000 dollari, a seconda delle specifiche. Il pagamento avviene tramite PayPal, e la spedizione copre tutto il mondo.
DHgate e le repliche a portata di click
Oltre alle vendite dirette via social, piattaforme come DHgate sono diventate veri hub per l’acquisto di repliche di lusso. Il sito B2B cinese, ormai secondo in classifica negli app store americani, offre borse, scarpe, gioielli e accessori a prezzi incredibili. Una Chanel 22 da 5.800 euro? Su DHgate si trova a 300 dollari. Una Birkin da collezione? Anche a meno di 50 dollari, se comprata in stock.
Le repliche spaziano da versioni economiche a copie quasi indistinguibili, con packaging, RFID e persino certificati. La domanda cresce, e la linea tra originale e replica si fa sempre più sfumata.
Dazi, e-commerce e nuovi equilibri globali
La strategia sembra funzionare, ma lo scenario potrebbe cambiare presto. Dal 2 maggio, l’amministrazione Trump eliminerà la clausola “de minimis” che consentiva l’ingresso duty-free per pacchi di valore inferiore agli 800 dollari. In risposta, Shein e Temu hanno già annunciato aumenti di prezzo per gli Stati Uniti.
Nel frattempo, Amazon si prepara a rafforzare il proprio dominio nel settore, sfruttando logistica locale, tempi rapidi e minore esposizione ai dazi. Il colosso americano potrebbe così approfittare delle restrizioni imposte ai concorrenti asiatici per consolidare la propria posizione.
Il paradosso dei dazi
Quello che doveva essere un freno alle importazioni si è trasformato in un incentivo al mercato parallelo. Gli acquirenti, spinti dal desiderio di lusso a basso costo, sono sempre più propensi ad accettare prodotti “no brand” ma identici agli originali. Un gioco d’equilibrio tra etica, legalità e convenienza che rischia di riscrivere le regole del lusso globale.