Torino si è svegliata all’alba del 18 dicembre 2025 con un’operazione di polizia imponente nel cuore di Vanchiglia, in corso Regina Margherita 47. Qui, dal 1996, aveva sede Askatasuna, uno dei centri sociali storici della città, da anni al centro di un controverso percorso istituzionale che avrebbe dovuto trasformarlo in bene comune. Quel percorso, però, si è ufficialmente interrotto pochi giorni prima dello sgombero. E oggi è proprio su quel confine – tra amministrazione, sicurezza e politica – che si consuma uno scontro che va ben oltre Torino.

Prima di essere “Aska”, prima ancora di diventare un simbolo politico, quello stabile era un pezzo di storia sociale torinese. L’edificio occupato dal centro sociale, sviluppato su quattro piani, risale al 1880 ed era originariamente sede dell’Opera Pia Reynero, ente che riuniva sotto un’unica amministrazione sette istituti di beneficenza, tra cui un asilo lattanti che accoglieva bambini dai pochi mesi ai tre anni di età. Con Regio Decreto del 23 marzo 1924, n. 522, venne sancita la fusione tra l’Asilo Reynero e l’Associazione delle dame di carità di Santa Giulia in Vanchiglia, dando vita a un unico ente denominato Opera Pia Reynero. In seguito, l’edificio fu acquistato dal Comune. Col tempo, però, la traiettoria cambia: la struttura, dotata di un cortile condiviso con l’adiacente asilo nido comunale, venne abbandonata nel 1981.
Quando, molti anni dopo, l’edificio torna a “vivere”, lo fa attraverso l’occupazione del 15 ottobre 1996, programmata da sessanta militanti dell’area autonoma. Quel giorno, i militanti avevano già preso possesso di un edificio in via Verolengo, dal quale erano stati successivamente sgomberati. Da quel momento lo stabile di corso Regina Margherita divenne la sede del Centro Sociale Askatasuna.
Nel tempo, l’attività si struttura e si radica: le attività pubbliche si concentravano prevalentemente nei primi due piani e comprendevano concerti, cene sociali, seminari e laboratori. E, secondo la narrazione storica del centro e delle reti che lo hanno frequentato, Askatasuna si caratterizzò, rispetto ad altre realtà cittadine, per la volontà di mantenere un rapporto stretto con il quartiere di Vanchiglia e per l’impegno sui temi del diritto alla casa e al lavoro, oltre che per iniziative rivolte all’infanzia. Dentro, negli anni, si sono stratificati servizi e spazi: uno sportello per persone con difficoltà abitative, un laboratorio artistico, una biblioteca, una camera oscura fotografica e una sala di registrazione, quest’ultima sequestrata dalla questura nel gennaio 2023.
Non è la prima volta che quell’edificio entra in una dinamica di conflitto con lo Stato: il centro sociale fu oggetto di perquisizioni da parte delle forze dell’ordine il 1º maggio 1999 e il 16 luglio 2001, e fu anche teatro di un’aggressione da parte di gruppi di estrema destra, episodi ampiamente documentati dalle cronache del quotidiano torinese La Stampa.

Nella mattinata del 18 dicembre la Digos, con il supporto dei reparti mobili e un ampio dispositivo di ordine pubblico, ha effettuato perquisizioni nello stabile e in alcune abitazioni private, culminate nello sgombero e nel sequestro dell’immobile, con apposizione dei sigilli. Secondo le ricostruzioni convergenti di più testate, all’interno dello stabile sarebbero stati trovati sei attivisti, in particolare in un’area indicata come inagibile, al terzo piano. Questo elemento viene indicato come uno dei fattori decisivi che hanno portato l’amministrazione comunale a dichiarare definitivamente cessato il patto di collaborazione.
L’operazione si inserisce inoltre in un filone investigativo più ampio, legato a presunti assalti e azioni violente avvenuti durante manifestazioni pro-Palestina, con bersagli indicati nella sede del quotidiano La Stampa, nelle OGR – Officine Grandi Riparazioni, grande polo culturale ed espositivo ricavato dall’ex complesso industriale ferroviario di Torino, e in Leonardo, gruppo industriale italiano attivo nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza, considerato strategico a livello nazionale.

Nel corso della giornata, davanti ad “Aska”, si sono tenuti presidi e un corteo di protesta. I tentativi di avvicinamento all’edificio hanno generato tensioni e scontri, con uso di idranti da parte delle forze dell’ordine. Le cronache parlano di dieci agenti feriti. Alle 18, in corso Regina Margherita, si è svolta una manifestazione di solidarietà, con la presenza di collettivi, associazioni e una rappresentanza istituzionale nazionale.

Il nodo centrale della vicenda resta il patto di collaborazione tra Askatasuna e il Comune di Torino. Il 30 gennaio 2024, la Giunta comunale aveva approvato una delibera che riconosceva l’immobile come bene pubblico suscettibile di valorizzazione come “bene comune”, avviando un percorso di co-progettazione. La delibera chiariva che non si trattava di una sanatoria dell’occupazione, ma di un percorso condizionato e reversibile, separato dalle vicende giudiziarie.
Nel marzo 2024 erano partite le prime attività: pulizia dei cortili e degli spazi esterni, con divieto di utilizzo dei piani superiori, dichiarati inagibili. Il 18 marzo 2025, la Giunta aveva approvato un nuovo patto quinquennale, più strutturato, che prevedeva una gestione affidata a un “gruppo spontaneo di cittadini”, una cabina di regia con Comune e territorio, il ripudio di ogni forma di violenza e razzismo e il divieto esplicito di utilizzo delle aree inagibili. Sarà proprio questa clausola a diventare centrale nella rottura. Il 10 dicembre 2025, infatti, il sindaco Stefano Lo Russo ha comunicato formalmente la cessazione del patto attraverso una nota istituzionale di Palazzo Civico, dichiarando:“Sono venute meno le condizioni che avevano consentito il percorso di collaborazione. Il Patto è cessato per violazione delle prescrizioni concordate”.
Alla manifestazione di solidarietà era presente l’onorevole Marco Grimaldi, deputato e vicecapogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera. Già in mattinata Grimaldi aveva dichiarato: “Lo sgombero di Askatasuna è esattamente il contrario della sicurezza: è un ulteriore passo verso la criminalizzazione delle lotte sociali ed è il tentativo di cancellare spazi di partecipazione e solidarietà… Il governo Meloni continua a usare la forza come risposta politica… Ma la storia dei centri sociali non si cancella con un’operazione di polizia… La città deve resistere…”.
In una dichiarazione successiva, resa anche presso la Camera dei Deputati, Grimaldi ha affermato: “È inaccettabile che un intero quartiere sia svegliato all’alba da un’operazione di polizia giudiziaria che costringe 500 famiglie di bambini che sarebbero dovuti andare a scuola e restare fuori. Inaccettabile che una primaria e una scuola dell’infanzia vengano chiuse all’improvviso, a pochi giorni dalle feste natalizie. Un’operazione di spettacolarizzazione della forza che nessuna istituzione dovrebbe avallare. Il laboratorio repressione è in atto. Torino è più forte di tutto questo. Questa storia non finisce qui”.
Sulla stessa linea Alice Ravinale, capogruppo AVS in Consiglio regionale del Piemonte, su Facebook ha postato: “Siamo davanti ad Askatasuna, da ore, in un quartiere militarizzato. Lo sgombero di Askatasuna è esattamente il contrario della sicurezza: è un ulteriore passo verso la criminalizzazione delle lotte sociali ed è il tentativo di cancellare spazi di partecipazione e solidarietà”.
E ancora, nella nota congiunta firmata da Grimaldi, Ravinale, Sara Diena ed Emanuele Busconi: “Il governo Meloni continua a usare la forza come risposta politica, trasformando le forze dell’ordine in uno strumento di propaganda, addirittura cancellando a oltre 500 bambini gli ultimi giorni di scuola prima delle vacanze di Natale pur di mandare in scena la sua odiosa spettacolarizzazione della repressione, con un intero quartiere militarizzato […]. Ma la storia dei centri sociali non si cancella con un’operazione di polizia: è una storia che ha attraversato decenni, costruendo alternative, reti di solidarietà, cultura dal basso. […] Chi oggi esulta per lo sgombero è minoranza in città: dimentica che la libertà non si sgombera. Ogni volta che si chiude uno spazio sociale, si spegne una luce nella città”.

Di segno opposto la posizione del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che su X, incisivo e sintetico, ha scritto: “Sgomberato il centro sociale Askatasuna di Torino. Dallo Stato un segnale chiaro: non ci deve essere spazio per la violenza nel nostro Paese”.
La vicenda Askatasuna si muove su piani diversi che, nel dibattito pubblico, finiscono spesso per sovrapporsi. C’è innanzitutto un livello amministrativo, fatto di atti, delibere e scadenze: al momento dello sgombero, il patto che avrebbe dovuto trasformare lo stabile in bene comune non era più in vigore. C’è poi un livello giudiziario e di sicurezza, che riguarda indagini e procedimenti su singoli episodi di violenza, un percorso autonomo che chiama in causa responsabilità individuali, non automaticamente un luogo nel suo insieme.
Ma c’è anche un terzo piano, meno formale e più profondo, politico e simbolico. Askatasuna è, per una parte della città e della sinistra, un presidio storico di socialità e conflitto; per il Governo e per una parte dell’opinione pubblica, un luogo ritenuto incompatibile con le esigenze di ordine pubblico. È in questa frizione che lo sgombero smette di essere soltanto la chiusura di un edificio e diventa altro: il segno di una frattura più ampia, tra istituzioni locali e nazionali, tra la gestione amministrativa dei beni comuni e le politiche securitarie, tra il diritto alla città e il controllo dello spazio urbano.
Una frattura che Torino conosce da tempo e che torna a riaffiorare ogni volta che la città è costretta a interrogarsi su chi decide, in che modo e nell’interesse di chi.

