Homeschooling in Italia: la scelta libera di Sergio e Annalisa per i loro figli

La storia di due genitori impegnati nella difesa dell’istruzione parentale e di un modello educativo che cresce insieme ai bambini, lontano dai ritmi tradizionali della scuola.

Homeschooling

Il recente caso dei cosiddetti “bambini del bosco”, ha aperto un varco su un tema che spesso resta ai margini del dibattito pubblico: l’istruzione parentale. L’intervista concessa alla rivista Vanity Fair da Sergio Leali, presidente di LAIF (L’Associazione Istruzione in Famiglia), e da Annalisa Vincenzi, membro del direttivo, offre una finestra privilegiata su un mondo che non si muove tra banchi, orari rigidi e campanelle, ma tra curiosità, ritmi personali e una diversa idea di crescita.

Ciò che colpisce, già dalle prime parole di Leali riportate nell’intervista, è la messa in discussione radicale del modello scolastico tradizionale. Non per ribellione, ma per la convinzione maturata in anni di esperienza: un bambino non si apre al sapere per obbligo, ma per desiderio. E quel desiderio va coltivato.

Homeschooling: rimettere in discussione ciò che davamo per scontato

Leggendo la loro testimonianza emerge un elemento comune a molte famiglie che intraprendono il percorso dell’homeschooling: prima di cambiare il sistema educativo dei figli, devono cambiare il proprio. Sergio e Annalisa parlano apertamente della difficoltà iniziale, soprattutto per chi è cresciuto con un’idea scolastica molto strutturata, fondata su programmi da seguire e livelli da superare.

Questo ribaltamento di prospettiva è forse la parte più impegnativa: significa accettare che non esiste un orario “giusto” per imparare, né un ordine obbligato con cui avvicinarsi ai concetti. È possibile parlare di Medioevo la mattina e di dinosauri il pomeriggio, senza preoccuparsi del “programma”. Significa rispondere alle domande dei bambini senza censurare ciò che riteniamo “troppo difficile”, semplicemente modulando il linguaggio. E quando la risposta non c’è, la si cerca insieme, rompendo l’idea, profondamente adulta, che il sapere debba arrivare dall’alto.

L’educazione come relazione e non come trasmissione

Nell’intervista, Annalisa spiega che l’apprendimento, nel loro modello, nasce da un impulso naturale. Non si parte dal programma, ma dall’interesse. Non si comincia da ciò che “bisogna sapere”, ma da ciò che risveglia una domanda.

È un metodo che richiede presenza. Non presenza ossessiva, ma disponibilità autentica: accompagnare i bambini nei musei, nelle aree naturali, nelle biblioteche; permettere loro di toccare, provare, chiedere; creare un ambiente ricco, vario, non finalizzato alla performance, ma alla scoperta.

Curiosamente, molti genitori raccontano che questo modello li porta a vivere esperienze che prima non avrebbero cercato: passeggiate nei boschi, osservazioni sul campo, attività manuali. E persino la libertà di dire “non lo so”, una frase rivoluzionaria in un Paese che ancora fatica a considerare l’apprendimento come qualcosa di reciproco.

Spesso l’homeschooling viene dipinto come una scelta ai margini, quasi fuori dalle regole. In realtà, come ricordano Sergio e Annalisa, la normativa italiana tutela esplicitamente questo diritto. La Costituzione, agli articoli 30 e 33, insieme alle leggi applicative, prevede l’istruzione parentale come possibilità pienamente riconosciuta.

Homeschooling, istruzione parentale, unschooling: parole diverse che descrivono lo stesso quadro.
Le famiglie progettano un percorso che rispetta gli obiettivi europei e nazionali, preparano un portfolio che documenta esperienze e competenze e presentano i bambini alle verifiche previste dalle scuole. La differenza non è nella legalità del percorso, ma nella filosofia che lo guida.

Il tempo come elemento educativo con l’homeschooling

Uno dei punti centrali sottolineati da Leali nell’intervista è il rapporto con il tempo. La scuola, osserva, organizza rigidamente lo spazio e il ritmo dell’apprendimento: lunghi periodi seduti, cambi di materia imposti, poche pause. L’homeschooling propone un tempo elastico, più vicino ai naturali cicli di attenzione.

Questo non significa assenza di disciplina, ma un modo diverso di costruirla: non con la costrizione, ma con l’interesse. Quando un tema appassiona, la concentrazione si prolunga spontaneamente; quando la mente si stanca, si cambia attività senza che ciò venga percepito come un fallimento.

Cosa succede quando questi bambini diventano adulti?

Un interrogativo che molti pongono è: “Che adulti diventano i ragazzi cresciuti con l’istruzione parentale?”.
Le esperienze raccontate da Sergio e Annalisa, come molti altri casi in Italia, mostrano un quadro rassicurante: giovani sicuri, curiosi, capaci di inserirsi nella società. I figli di Leali hanno intrapreso carriere diverse — una universitaria, una artistica — con naturalezza e autonomia.

Allo stesso modo, i figli di Annalisa sono cresciuti integrati nella comunità locale, partecipando alle attività pomeridiane e costruendo relazioni solide, dimostrando che l’homeschooling non isola, ma anzi permette ai bambini di vivere pienamente il proprio territorio.

Una scelta che richiede coraggio, ma offre possibilità nuove

L’intervista di Vanity Fair mette in luce ciò che spesso si dimentica quando si parla di homeschooling: non è una fuga dalla scuola, ma una scelta verso un’altra idea di educazione. Una scelta che chiede tempo, dedizione e una grande disponibilità a mettersi in discussione, ma che per molte famiglie rappresenta un ritorno alla libertà educativa che la legge italiana, da sempre, riconosce ai genitori.