A trent’anni dall’assedio di Sarajevo, una nuova indagine scuote l’Italia. La Procura di Milano, con il pubblico ministero Alessandro Gobbis, ha aperto un fascicolo per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai motivi abbietti. L’indagine parte da un esposto del giornalista e scrittore Ezio Gavazzeni, sostenuto dagli avvocati Nicola Brigida e dall’ex magistrato Guido Salvini. Un azione che mira a far luce su una vicenda che sembra uscita da un incubo. Cittadini italiani che, negli anni della guerra in Bosnia, avrebbero pagato per partecipare a “safari di guerra”, sparando per divertimento sui civili della capitale bosniaca.
A Sarajevo “turisti della morte” partiti dall’Italia
Secondo quanto riportato da Il Giorno e La Repubblica, alcuni uomini del Nord Italia – in particolare di Milano, Torino e Trieste – avrebbero raggiunto i territori controllati dalle milizie serbo-bosniache pagando somme ingenti per “provare l’ebrezza del conflitto”.
Questi “turisti armati”, spesso simpatizzanti dell’estrema destra e appassionati di armi, sarebbero stati accompagnati sulle colline attorno a Sarajevo. Da lì avrebbero sparato su donne, uomini e bambini intrappolati nella città assediata tra il 1993 e il 1995.
Il fenomeno, già raccontato nel documentario Sarajevo Safari del 2022, avrebbe coinvolto anche cittadini di altri Paesi, come americani, canadesi e russi.
Le fonti dell’esposto e i primi riscontri
Nell’esposto presentato a gennaio, Gavazzeni cita una fonte dell’intelligence bosniaca, identificata con nome e cognome, che nel 1993 avrebbe informato il Sismi, allora servizio segreto militare italiano. La fonte segnalava la presenza di almeno cinque cittadini italiani sulle colline intorno alla città.
Uno di loro, secondo quanto riportato, sarebbe stato un medico milanese titolare di una clinica estetica privata.
Le testimonianze raccolte parlano anche di una sorta di “listino” per le uccisioni. I bambini sarebbero “costati di più”, seguiti da uomini e donne, mentre gli anziani “si potevano colpire gratis”.
L’ombra dei servizi segreti e del traffico di armi
Dalle prime ricostruzioni, il sistema dei “safari” sarebbe stato gestito con la complicità delle milizie di Radovan Karadzic, poi condannato per genocidio, e sostenuto dal servizio di sicurezza statale serbo.
Le operazioni sarebbero state coperte da finti viaggi di caccia, organizzati tramite l’ex compagnia aerea serba Aviogenex, con logistica e spostamenti curati per non destare sospetti.
L’ex 007 bosniaco che ha fornito le informazioni sostiene che “dietro tutto vi fosse un’organizzazione ben strutturata, con risorse economiche e contatti internazionali”.
Le testimonianze: “Li vedevamo sulle colline”
Nel fascicolo è stata allegata anche la testimonianza resa nel 2007 da John Jordan, ex vigile del fuoco statunitense che operava come volontario a Sarajevo negli anni dell’assedio.
Davanti al Tribunale dell’Aja, Jordan raccontò di aver visto più volte persone “chiaramente straniere” imbracciare fucili accanto ai miliziani locali.
“Avevano abiti, armi e atteggiamenti che non appartenevano ai soldati bosniaci. Sembravano turisti in guerra”.
Un’indagine difficile ma ancora aperta
Al momento, il fascicolo della Procura di Milano è contro ignoti. Gli inquirenti, con il supporto del Ros dei Carabinieri, stanno verificando i documenti e le testimonianze raccolte da Gavazzeni, e potrebbero convocare nelle prossime settimane alcune persone indicate nell’esposto.
Nonostante il tempo trascorso, i reati ipotizzati – omicidio volontario aggravato – non sono prescritti.
L’obiettivo, spiegano fonti giudiziarie, è “verificare la fondatezza delle accuse e dare un nome a chi avrebbe partecipato a una delle pagine più oscure della guerra nei Balcani”.
L’orrore di Sarajevo: memoria e giustizia
La vicenda riporta alla luce l’orrore dell’assedio di Sarajevo, dove tra il 1992 e il 1995 oltre 11mila persone persero la vita.
Per la città martire dei Balcani, ancora oggi simbolo della resistenza civile contro la barbarie, l’inchiesta italiana rappresenta un possibile passo verso la verità.
Come ha scritto la sindaca di Sarajevo, Benjamina Karic, nella relazione inviata ai magistrati milanesi: “Ogni colpo sparato da quelle colline non apparteneva solo alla guerra, ma alla disumanità”.
