Un nuovo sciopero è in arrivo a Milano e, come spesso accade, il rischio è quello di una città rallentata e collegamenti in tilt.
Il sindacato Al Cobas ha infatti indetto per venerdì 7 novembre una giornata di mobilitazione di 24 ore che coinvolgerà i lavoratori di Atm, l’azienda che gestisce la rete del trasporto pubblico locale.
L’agitazione è stata confermata anche dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, rendendo ufficiale uno stop che potrebbe creare disagi a migliaia di cittadini e pendolari.
La protesta, spiegano dal sindacato, vuole essere “un grido d’allarme” sulle condizioni di lavoro e sulle politiche aziendali considerate sempre più penalizzanti per chi ogni giorno garantisce la mobilità cittadina.
Atm Milano: gli orari dello sciopero e le fasce garantite
Come previsto dalla legge sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali, Atm assicurerà alcune fasce orarie di funzionamento per limitare i disagi.
Secondo quanto comunicato dall’azienda, la circolazione di metropolitana, autobus e tram sarà garantita:
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Dall’inizio del servizio fino alle 8:45 del mattino.
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Dalle 15:00 alle 18:00 nel pomeriggio.
In tutti gli altri momenti, ovvero dalle 8:45 alle 15:00 e dopo le 18:00 fino al termine del servizio, il funzionamento dei mezzi sarà a rischio o totalmente sospeso.
I milanesi dovranno quindi pianificare con attenzione i propri spostamenti, specialmente nelle ore centrali della giornata.
Le motivazioni della protesta: “Più salario, meno orario”
Il motto scelto da Al Cobas per questa giornata è chiaro: “Più salario, meno orario”.
Secondo il sindacato, le retribuzioni dei lavoratori Atm non tengono il passo con l’aumento del costo della vita. L’adeguamento previsto dal nuovo Contratto collettivo nazionale del lavoro — che porterà un incremento del 5,9% solo nel 2026 — viene considerato “una presa in giro” rispetto a un’inflazione ormai superiore al 18%.
Per questo motivo, Al Cobas chiede un aumento aziendale di 150 euro netti al mese per tutti, senza legarlo a premi di produttività o incentivi discrezionali.
Un’altra richiesta riguarda la riduzione dell’orario di lavoro, con turni più umani e meno stressanti, in un settore dove le responsabilità sono elevate e il contatto con il pubblico può diventare anche fonte di rischio.
Retribuzioni, straordinari e organico ridotto
Le rivendicazioni non si fermano al tema salariale. Il sindacato punta il dito contro quella che definisce una “gestione discutibile” delle risorse umane da parte di Atm.
Secondo Al Cobas, l’azienda si reggerebbe su un numero insufficiente di lavoratori, costretti a turni pesanti, straordinari continui e con ferie arretrate difficili da smaltire.
Le recenti assunzioni, seppur presenti, vengono considerate “una goccia nel mare” rispetto al reale fabbisogno.
“Servono piani di assunzioni strutturali e ben retribuiti, non interventi temporanei o bonus una tantum”, sostengono i rappresentanti sindacali.
Sicurezza e igiene: due emergenze spesso ignorate
Tra i punti più sentiti della piattaforma sindacale c’è anche la sicurezza sul lavoro.
Gli autisti e il personale di front line chiedono maggiori tutele contro le aggressioni e le situazioni di rischio, sempre più frequenti.
Fra le proposte: mantenere chiusa la porta anteriore dei mezzi, installare barriere protettive per i conducenti e potenziare la sorveglianza nelle ore serali.
Il sindacato denuncia inoltre una situazione di scarsa igiene e sanificazione nei mezzi e nei depositi aziendali, giudicata “precaria e insufficiente”.
Una richiesta che, dopo gli anni della pandemia, assume un valore simbolico e pratico allo stesso tempo.
Atm deve restare pubblica, dicono i lavoratori
Oltre alle questioni economiche, la protesta ha anche una dimensione politica.
Al Cobas si oppone fermamente a qualsiasi ipotesi di privatizzazione o gara d’appalto dei servizi Atm.
L’obiettivo dichiarato è quello di mantenere l’azienda sotto controllo pubblico diretto, trasformandola in una “azienda speciale” del Comune di Milano, così da garantirne la natura di servizio pubblico e tutelare l’interesse collettivo.
“Il trasporto pubblico — spiegano — non è una merce, ma un diritto dei cittadini e un dovere per le istituzioni”.
Il difficile equilibrio tra diritto di sciopero e diritto alla mobilità
Ogni sciopero nel trasporto pubblico porta con sé un dilemma: come conciliare il diritto dei lavoratori a protestare con quello dei cittadini a muoversi liberamente?
La Costituzione italiana, all’articolo 40, riconosce il diritto di sciopero, ma impone di bilanciarlo con la tutela dei servizi essenziali.
La legge 146 del 1990 stabilisce infatti limiti e regole — come il preavviso e le fasce di garanzia — per evitare il blocco totale della città.
Tuttavia, nella realtà quotidiana, i disagi finiscono spesso per colpire chi non ha responsabilità dirette: studenti, lavoratori, persone con visite mediche o appuntamenti improrogabili.
È un effetto collaterale che molti cittadini vivono come una penalizzazione ingiusta, e che rischia di ridurre la solidarietà pubblica verso i lavoratori in protesta.
Quando lo sciopero perde forza
Gli scioperi nel trasporto pubblico raramente colpiscono chi prende le decisioni (cioè l’ente pubblico o politico che controlla le aziende), ma quasi sempre gli utenti: lavoratori, studenti, persone con visite mediche o impegni inderogabili. È un meccanismo “indiretto”, ma nella pratica il disagio non si trasferisce mai in modo efficace a chi detiene il potere contrattuale.
Il diritto di sciopero è costituzionalmente tutelato — lo è dall’art. 40 della Costituzione — ma lo sono anche la libertà di circolazione, il diritto al lavoro e allo studio. L’Italia, in teoria, cerca di bilanciare questi diritti con la legge 146/1990, che regola gli scioperi nei servizi pubblici essenziali: prevede fasce orarie garantite, preavvisi, limiti di durata e intervalli minimi tra scioperi. Tuttavia, nella pratica, la tutela degli utenti resta spesso solo formale.
Quando uno strumento perde forza perché abusato o mal indirizzato, si trasforma in un gesto sterile o di comodo. Lo sciopero di venerdì, in un’epoca di smartworking, rischia di essere percepito più come un “ponte” che come una forma di protesta. Così si logora anche la credibilità di chi sciopera in buona fede.
Esistono forme di protesta “a danno zero” per i cittadini e “a danno economico” per lo Stato o l’azienda. In Francia o Germania, ad esempio, alcune sigle sindacali hanno sperimentato modalità simili (“sciopero bianco”, “open transport”), proprio per non alienare il sostegno dell’opinione pubblica.
Una protesta che vuole farsi sentire
Il 7 novembre sarà dunque una giornata di disagi, ma anche di rivendicazioni.
Dietro le fermate deserte e i tram fermi ai capolinea, ci sono le storie di chi chiede rispetto, sicurezza e riconoscimento economico.
Che lo si condivida o meno, lo sciopero dei lavoratori Atm è un segnale chiaro: il trasporto pubblico di Milano ha bisogno di attenzione, risorse e di una visione che rimetta al centro chi lo fa funzionare ogni giorno.
