
C’è un’immagine che stride con la storia di Forza Italia: un partito che, nato sotto la guida di Silvio Berlusconi, si è sempre presentato come baluardo del garantismo, oggi pronto a sacrificare una cittadina italiana sull’altare della disciplina di governo e delle convenienze parlamentari europee. Il caso di Ilaria Salis ne è la prova più lampante.
Il voto della JURI e la scelta di Tajani
La Commissione Affari Giuridici del Parlamento europeo (JURI) ha respinto, per un soffio, la richiesta ungherese di revocare l’immunità parlamentare all’eurodeputata di Alleanza Verdi-Sinistra. Eppure Antonio Tajani, ministro degli Esteri e nuovo leader di Forza Italia, ha dichiarato che il suo partito voterà in plenaria per togliere quell’immunità, schierandosi di fatto con Budapest.
Dal garantismo al calcolo politico
Il ragionamento è semplice, dice Tajani: i reati contestati a Salis risalgono a prima della sua elezione. Dunque niente protezione. Una logica che, se presa alla lettera, scardina decenni di tradizione garantista della politica italiana e dello stesso Partito Popolare Europeo, che storicamente ha difeso il principio della presunzione d’innocenza.
Colpisce ancor di più il repentino cambio di linea: solo un anno fa lo stesso Tajani dichiarava pubblicamente che «Ilaria Salis non è una terrorista», prendendone le difese di fronte alle accuse provenienti da Budapest. Oggi, invece, lo stesso leader sembra disposto a consegnarla alla giustizia ungherese, accettando che una deputata italiana rischi fino a ventiquattro anni di carcere.
Le pressioni della destra sovranista
La realtà è che Forza Italia non vuole incrinare i rapporti interni alla maggioranza di governo. Matteo Salvini ha già urlato al “vergognoso salvataggio” di Salis, accusando l’Europarlamento di legittimare il terrorismo rosso. CasaPound, dal canto suo, ha appeso striscioni contro Tajani definendolo “antifascista, amico della Salis”. Una pressione che il vicepremier non ha retto, preferendo piegare la linea del partito ai diktat della destra sovranista, anche a costo di abbandonare una cittadina italiana al rischio di lunghi anni di carcere in Ungheria.
Il tradimento dell’eredità di Berlusconi
È qui che emerge il paradosso. Forza Italia, la creatura politica che Berlusconi aveva concepito come argine al giustizialismo e al giacobinismo giudiziario, si ritrova oggi a fare il lavoro sporco contro i propri stessi principi fondativi. Se fosse ancora vivo il Cavaliere, difficilmente avremmo assistito a un simile tradimento culturale: lui stesso ha conosciuto sulla propria pelle cosa significhi un processo mediatico e giudiziario senza fine, e ha fatto del garantismo la bandiera del partito.
Una forza politica ridotta a stampella
Con Tajani al timone, quella bandiera sembra ammainata. Non c’è più il coraggio di distinguersi dagli alleati quando si tratta di difendere un principio, neppure quando in gioco c’è la libertà di un’eurodeputata italiana sottoposta a un processo controverso in un Paese dove lo stato di diritto è da anni sotto osservazione europea. Oggi Forza Italia appare ridotta a stampella di governo, pronta a sacrificare coerenza e identità pur di non disturbare la Lega e Fratelli d’Italia.
Dal garantismo alla sottomissione
E così, la metamorfosi è completa: dal partito del garantismo al partito della sottomissione. Dal difendere i diritti dei cittadini italiani al piegarsi al calcolo politico. Dal Berlusconi che rivendicava autonomia a un Tajani che obbedisce per non incrinare equilibri precari.
Silvio Berlusconi, oggi non può che rivoltarsi nella tomba.