
Al Meeting di Rimini, Mario Draghi ha pronunciato parole che dovrebbero scuotere dalle fondamenta l’autocompiacimento europeo. “Il 2025 è stato l’anno in cui è evaporata l’illusione dell’Unione di contare”, una frase che condensa in poche sillabe l’essenza della crisi politica e geopolitica dell’Europa.
Il quadro tracciato dall’ex presidente del Consiglio non è quello di una comunità coesa capace di difendere i propri valori fondativi, ma di un insieme di Stati che, pur disponendo di ricchezza, tecnologia e milioni di cittadini, restano relegati al ruolo di spettatori mentre altri attori decidono le sorti del mondo.
Ucraina e Gaza: l’Europa che paga ma non decide
Draghi ha ricordato un dato tanto semplice quanto imbarazzante: l’Unione europea è il principale contributore finanziario nella guerra in Ucraina, ed è l’attore con il maggiore interesse a una pace giusta. Eppure non siede al tavolo dei negoziati con l’autorevolezza che la sua posizione meriterebbe. L’Europa paga, ma altri decidono.
Non meno grave l’atteggiamento sulla crisi mediorientale. Quando i siti nucleari iraniani venivano bombardati e la carneficina di Gaza si intensificava, l’Unione è rimasta spettatrice muta, incapace di incidere o persino di mostrare una linea comune. L’assenza di un’autonoma politica estera, denunciata da decenni, si è trasformata in una condanna all’irrilevanza.
La Cina e la brutalità del reale
Draghi ha poi sottolineato come la Cina abbia sostenuto apertamente lo sforzo bellico russo, ignorando le proteste europee e utilizzando la leva strategica delle terre rare per rafforzare la dipendenza dell’Occidente. Anche in questo caso, Bruxelles ha preso atto senza incidere, confermando l’impressione di un continente economicamente vasto ma geopoliticamente fragile.
Illusione spezzata, dunque: l’idea che la dimensione del mercato, 450 milioni di consumatori, bastasse a conferire peso politico internazionale si è dissolta davanti a guerre, sanzioni, dazi e alle richieste americane di aumentare la spesa militare. La potenza economica senza volontà politica non genera influenza: al massimo garantisce sopravvivenza passiva.
Debito comune e frammentazione
Per Draghi, solo strumenti finanziari comuni possono permettere all’Europa di affrontare sfide che i singoli Stati non riescono a sostenere: difesa, energia, infrastrutture, tecnologie dirompenti. In altre parole, l’Unione deve decidere se restare un mosaico di interessi nazionali o diventare davvero un soggetto politico. L’alternativa è l’irrilevanza.
Il riferimento alla distinzione tra “debito buono e debito cattivo” non è accademico: in un mondo dominato da colossi statali e corporativi, nessuna nazione europea isolata può finanziare progetti di scala sufficiente a incidere. Restare divisi significa rassegnarsi alla marginalità.
Lo scetticismo dei cittadini
Draghi ha avvertito che lo scetticismo verso l’Europa non riguarda i valori fondativi, democrazia, pace, libertà, equità, ma la capacità delle istituzioni di difenderli. Ed è una differenza sostanziale: i cittadini non rigettano l’idea europea, ma ne denunciano l’impotenza. Questo dovrebbe essere un campanello d’allarme: quando la distanza tra principi e azione diventa eccessiva, il consenso si sgretola.
La sveglia americana
Infine, l’ex governatore della Bce ha ricordato la “sveglia brutale” venuta dagli Stati Uniti: la rielezione di Donald Trump. Se nel 2023 regnava una falsa tranquillità, oggi la realtà impone di riconoscere che l’Europa non può più rifugiarsi nell’ombra americana. Eppure, ancora una volta, la risposta è rimasta timida, divisa, esitante.
Le parole di Draghi non sono un atto d’accusa sterile, ma una diagnosi severa. L’Europa è spettatrice di se stessa: paga i costi delle guerre, subisce i dazi degli alleati, osserva impotente i massacri e le crisi, mentre il suo sistema di welfare rischia di diventare l’ultimo simulacro di un modello che non sa più difendersi.
La scelta è drammatica ma inevitabile: o l’Unione diventa soggetto politico, con strumenti comuni e una visione condivisa, oppure resterà un gigante economico e un nano geopolitico. Le guerre in Ucraina e a Gaza hanno già dimostrato che non c’è più tempo per le illusioni.