
Rocca di Papa, una cittadina tranquilla nei Castelli Romani, si è svegliata oggi col peso di un’altra tragedia. Una vendetta consumata in pieno giorno ha riportato a galla una ferita mai chiusa: quella per la morte di Giuliano Palozzi, massacrato cinque anni fa in una rissa finita nel sangue. Il padre, Guglielmo Palozzi, 62 anni, operatore ecologico, ha sparato e ucciso Franco Lollobrigida, 35 anni, l’uomo che – secondo la giustizia – ha avuto un ruolo diretto nella morte del figlio.
Una storia di dolore e lentezze processuali che ha fatto esplodere la rabbia in un gesto estremo.
Rocca di Papa: un passato che non si cancella
Tutto ha origine nel gennaio 2020, quando Giuliano Palozzi, 34 anni, si ritrova coinvolto in una lite con Franco Lollobrigida per un debito di 25 euro. Secondo la ricostruzione dell’epoca, Giuliano avrebbe venduto una sostanza spacciata per droga, scatenando la reazione violenta di Lollobrigida, che lo avrebbe colpito brutalmente sotto casa. Giuliano morì dopo mesi di agonia in ospedale.
Nel 2023, Franco Lollobrigida ammette di aver sferrato un pugno a Giuliano, sostenendo però di aver agito per difesa e che il pestaggio fatale sarebbe stato compiuto da altri sopraggiunti. La Corte d’Assise lo assolve, ma nel maggio 2025 arriva la svolta: la Corte d’Appello lo condanna a dieci anni per omicidio preterintenzionale.
Una condanna che non basta
Nonostante la condanna in secondo grado, Lollobrigida era ancora a piede libero. Il motivo? La sentenza non era definitiva, e la legge italiana consente a chi è stato condannato in appello di attendere la decisione della Cassazione in libertà, a meno che non venga disposta una misura cautelare.
Il suo avvocato aveva già presentato ricorso. Per la giustizia, Franco Lollobrigida era formalmente libero. Ma per Guglielmo Palozzi, la sua presenza nel paese era insopportabile. Troppo viva l’ombra del figlio morto, troppo grande il peso dell’impunità percepita.
L’incontro fatale a Rocca di Papa
L’epilogo si consuma in una mattina afosa, su via Roma, nel centro di Rocca di Papa. Guglielmo, al lavoro con il suo carretto per la nettezza urbana, incrocia Franco. È ancora da chiarire se l’incontro sia stato casuale o premeditato. I due si fronteggiano. Poi uno sparo.
Lollobrigida viene colpito alla schiena da un solo proiettile, che gli sfiora l’aorta. Prova a fuggire, percorre una decina di metri, poi crolla davanti agli occhi degli avventori di un bar. Le urla, l’arrivo dei soccorsi, la disperazione del vicesindaco accorso sul posto. È tutto inutile: Franco muore sul marciapiede.
Guglielmo Palozzi viene fermato poco dopo dai carabinieri di Frascati, senza opporre resistenza.
Un’arma scomparsa e molte domande
L’arma del delitto non è ancora stata trovata. Nessun bossolo rinvenuto sulla scena, il che fa pensare a un revolver, forse detenuto illegalmente. I carabinieri stanno analizzando le immagini delle telecamere di sorveglianza della zona per chiarire la dinamica e accertare se l’incontro tra i due fosse davvero fortuito.
Nel frattempo, Palozzi sarà ascoltato dal magistrato per fornire la sua versione dei fatti. Il movente appare chiaro: una vendetta covata per anni, forse alimentata dal senso di ingiustizia e dall’assenza di una punizione immediata per l’uomo ritenuto responsabile della morte del figlio.
Una giustizia troppo lenta?
La tragedia riaccende un dibattito antico e sempre attuale: il sistema giudiziario italiano tutela troppo gli imputati a scapito delle vittime? Perché un uomo condannato per omicidio preterintenzionale era ancora libero di circolare nel paese in cui aveva seminato il dolore?
Domande che scuotono le coscienze e dividono l’opinione pubblica. Il diritto alla difesa è sacrosanto, ma cosa accade quando, in attesa della giustizia definitiva, si scatenano nuove tragedie?
Il caso di Rocca di Papa è destinato a far discutere, perché mette in luce le crepe di un sistema che, troppo spesso, sembra lasciare i familiari delle vittime senza risposte. E a volte, senza pace.