Quando il cinema fa paura: Israele arresta Hamdan Ballal

Sotto il regime di Netanyahu, anche raccontare diventa un crimine. Dov’è finito il regista premio Oscar di “No Other Land”?

Hamdan Ballal
Hamdan Ballal

“No Other Land” non è solo un film. È un atto di resistenza, una testimonianza viva e poetica dello sfollamento forzato e sistematico di comunità palestinesi da parte di Israele. Il documentario, co-diretto dal palestinese Hamdan Ballal e dall’israeliano Yuval Abraham, ha scosso le coscienze globali, portando sul palco degli Oscar la voce di chi, troppo spesso, viene silenziato. Ma a quanto pare, raccontare verità scomode ha un prezzo. E Hamdan Ballal lo sta pagando sulla propria pelle.

Il volto nudo dell’occupazione

Lunedì sera, Ballal partecipava a un pacifico raduno per l’Iftar a Susiya, in Cisgiordania. Un momento di condivisione e spiritualità, interrotto brutalmente da un gruppo di coloni israeliani che ha attaccato i presenti, secondo testimoni oculari e attivisti locali. Invece di proteggere i civili palestinesi, l’esercito israeliano ha arrestato tre di loro, tra cui lo stesso Ballal, ferito alla testa e allo stomaco. Le immagini che trapelano, poche e confuse , parlano di un’aggressione violenta, di sangue, e poi del silenzio. Da quel momento, nessuna notizia certa. Nessuna garanzia sulle sue condizioni. È vivo? Morto? È sotto tortura?

La criminalizzazione del dissenso

L’arresto di Ballal non è un episodio isolato. È l’ennesimo capitolo di una strategia ben collaudata: reprimere, zittire, far sparire chi osa raccontare ciò che Israele non vuole che il mondo veda. Ballal non è stato preso per aver lanciato pietre, l’accusa riciclata contro ogni palestinese scomodo, ma per aver mostrato che il re è nudo. Il suo film è un atto d’accusa diretto al sistema di apartheid e colonizzazione in Cisgiordania. E Netanyahu , oggi più che mai ostaggio della sua ultradestra, non può permettersi che simili verità circolino liberamente.

La guerra alla cultura

L’attacco a Ballal è un attacco a tutta la cultura palestinese. È un segnale forte: ogni voce che racconta l’ingiustizia può essere colpita. E se è un regista premiato con l’Oscar a scomparire nel nulla, figuriamoci chi non ha alcuna protezione mediatica. Israele non combatte solo Hamas: combatte ogni espressione d’identità, ogni atto di resistenza culturale, ogni narrazione alternativa al suo dominio.

Dove sono le democrazie occidentali?

La domanda ora è: dov’è l’Europa? Dove sono gli Stati Uniti, che applaudono alle parole di Abraham sul palco degli Oscar, ma tacciono mentre il suo collega viene portato via sanguinante? Dov’è l’ONU, l’UNESCO, l’Academy stessa? È forse accettabile che un artista venga arrestato, forse torturato, forse ucciso, per aver denunciato un’occupazione illegale riconosciuta tale dalla comunità internazionale?

Non basta la condanna: serve azione

È necessario fare luce sull’accaduto, con un’indagine indipendente che garantisca trasparenza e rispetto dei diritti umani. E’ fondamentale sapere dove si trova, quali sono le sue condizioni e assicurarci che riceva le cure e la tutela che ogni persona merita.

In questo momento, Hamdan Ballal rappresenta molto più di un regista: è la voce di chi cerca di raccontare storie spesso dimenticate è il simbolo vivente di una verità che fa paura. E che proprio per questo va protetta.