Riad, iniziati i colloqui tra USA e Russia sul cessate il fuoco in Ucraina

Tra cristalli e moquette del Ritz-Carlton si discute di tregua, ma in Ucraina si continua a morire. Putin chiede la fine del sostegno occidentale a Kiev, Zelenskij ribatte: “Nessuna tregua finché il nemico sarà nelle nostre città”

Raid Usa Russia

“La diplomazia sarà forte solo in posizioni forti in prima linea”. Con queste parole, Vladimir Zelenskij ha voluto ricordare – proprio nel momento in cui a Riad (Arabia Saudita) si aprivano le porte dei colloqui più attesi dall’inizio dell’anno – che la guerra è ancora lì: viva, letale, inchiodata nelle trincee. E mentre i tavoli di negoziato si apparecchiano tra moquette di lusso e cristalli del Ritz-Carlto, in Ucraina i droni continuano a colpire, i bambini a morire, e la speranza a vacillare.

I colloqui si sono aperti questa mattina alle 10, ora di Mosca (le 8 in Italia), nello stesso hotel che appena 24 ore prima aveva ospitato le trattative tra Stati Uniti e Ucraina. A rappresentare Mosca ci sono figure di altissimo livello: Grigorij Karasin, presidente della Commissione Esteri del Senato russo, e Sergej Beseda, consigliere del direttore dell’FSB. La scelta dei negoziatori è stata affidata personalmente da Vladimir Putin, come confermato dal portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov.

I servizi di sicurezza sauditi hanno chiesto ai giornalisti di lasciare l’hotel, come riportato dall’agenzia russa TASS. Le discussioni si svolgono a porte chiuse, in un clima di assoluta riservatezza. Secondo Ukrainskaja Pravda, la delegazione ucraina è ancora a Riad e si prepara a un nuovo round di colloqui con quella americana, non appena si concluderanno quelli con i russi.

Dall’altra parte del tavolo, la delegazione americana è composta da Michael Anton, direttore per la pianificazione politica del Dipartimento di Stato USA, affiancato da Keith Kellogg e Mike Waltz, rispettivamente consigliere per la sicurezza nazionale e assistente dell’inviato speciale per l’Ucraina.

“Non tutte le negoziazioni finiscono necessariamente con documenti e accordi su larga scala. È importante mantenere sempre i contatti e comprendere il punto di vista l’uno dell’altro. Questo ci riesce”, ha dichiarato Grigorij Karasin, secondo quanto riportato dall’agenzia Interfax, aggiungendo che i colloqui sono “interessanti” e “creativi”.

Ma se la forma è cortese, la sostanza resta dura. Secondo quanto riportato da Reuters e rilanciato da The Guardian, il Cremlino ha affermato che Mosca e Washington condividono un’intesa comune sulla necessità di porre fine al conflitto, ma che “restano ancora molteplici aspetti da definire”.

E gli ostacoli non sono piccoli: Putin pretende che vengano affrontate le “cause profonde” della guerra, prima tra tutte l’espansione della NATO, in pratica, riprende esattamente da dove aveva iniziato nel 2022, ribadendo le stesse motivazioni con cui aveva giustificato l’invasione, e chiedendo ora che quelle ragioni vengano ascoltate al tavolo negoziale. L’Ucraina, dal canto suo, ha reso l’adesione all’Alleanza Atlantica un obiettivo strategico irrinunciabile. In una telefonata recente con Donald Trump, Putin ha inoltre richiesto la cessazione del supporto d’intelligence e degli aiuti militari a Kiev da parte degli alleati. Una linea rossa per Zelenskij, che ha commentato: “Gli alleati dell’Ucraina non accetteranno mai una tale condizione”, esprimendo però la speranza che “gli aiuti continuino”.

Nel frattempo, Steve Witkoff, inviato speciale degli Stati Uniti, ha dichiarato a Fox News: “Penso che lunedì, in Arabia Saudita, assisteremo a progressi reali, soprattutto per quanto riguarda un cessate il fuoco nel Mar Nero tra le due nazioni. E da lì, naturalmente, si passerà a un cessate il fuoco più ampio”.

Dietro le quinte, la Casa Bianca mira a raggiungere una tregua entro il 20 aprile, che quest’anno coincide con la Pasqua sia cattolica che ortodossa, come riportato dall’ANSA.

Ma intanto il sangue continua a scorrere. Ieri, oltre 140 droni hanno colpito l’Ucraina: sette morti, tra cui un bambino, secondo fonti locali. A Kiev l’allarme è durato più di cinque ore. L’aeronautica ucraina ha abbattuto 57 droni su 99, mentre altri 36 non hanno raggiunto il bersaglio. Non si conosce la sorte dei restanti sei. Secondo le autorità russe, 59 droni ucraini sono stati distrutti mentre tentavano di colpire le regioni sud-occidentali del Paese.

Nonostante ciò, il Cremlino insiste: “La sospensione degli attacchi alle infrastrutture, concordata durante la telefonata Trump-Putin, resta valida”, ha riferito il Guardian, pur ammettendo che gli attacchi non si sono fermati. Peskov, alla TV di Stato russa, ha messo in chiaro: “Siamo solo all’inizio di questo percorso.”

Sul tavolo delle trattative, secondo Parlamentskaja Gazeta, ci sono la verifica del cessate il fuoco, il ruolo delle forze di pace e lo status dei territori contesi. Temi caldi, come le terre rare ucraine, fondamentali per l’industria tecnologica, che però, come ha sottolineato il Wall Street Journal, si trovano in zone occupate dai russi o sulla linea del fronte, rendendo il loro sfruttamento legato all’esito delle battaglie in corso.

E proprio sulle trincee insiste Zelenskij: “Ogni giorno di questa guerra è dedicato alla protezione della nostra indipendenza, del nostro Stato e del nostro popolo. Finché il nemico sarà sul nostro territorio e risuoneranno gli allarmi aerei, dovremo difendere l’Ucraina”.

Intanto, dalla Cina arriva una smentita: “Sono notizie del tutto false”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun, rispondendo a chi chiedeva se Pechino stesse valutando l’invio di truppe di peacekeeping in Ucraina.

Mentre tutti osserviamo con cauta speranza, le parole di Karasin rimbombano come un mantra diplomatico: “Mantenere il contatto è fondamentale. Comprendersi è possibile. E questo ci riesce”. Ma al di là dei contatti, oltre le strette di mano e le promesse a porte chiuse, ora servono i fatti. Serve che le bombe tacciano. Che agli ucraini venga restituito ciò che nessun tavolo potrà mai davvero ricostruire: la pace perduta.

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