Netanyahu ha tradito Israele, un paese sull’orlo della guerra civile

Il popolo in rivolta contro un leader che ha tradito la sua nazione. Le piazze si riempiono, la tensione sale: la guerra civile non è più un’ipotesi lontana

Tel Aviv
Tel Aviv

Le piazze di Israele stanno urlando. Un grido collettivo, disperato, che risuona da Tel Aviv a Gerusalemme, passando per Haifa e le città del sud, troppo a lungo soffocate dal silenzio e dalla paura. Sabato sera, decine di migliaia di cittadini israeliani sono scesi in strada per dire basta. Basta alla guerra, basta agli ostaggi dimenticati, basta a Benjamin Netanyahu, diventato ormai simbolo di una politica cieca, brutale e fuori controllo. Israele è in mano a un uomo che sta trascinando il Paese sull’orlo di una guerra civile.

Netanyahu: l’uomo solo al comando

Benjamin Netanyahu, accecato dal potere, non rappresenta più il popolo israeliano. Governa come un autocrate in guerra contro le istituzioni, contro la giustizia, contro la democrazia stessa. La sua politica della terra bruciata, interna ed esterna, è un pericolo mortale per Israele. Dopo aver cercato di licenziare Ronen Bar, capo dello Shin Bet, e aver minacciato il procuratore generale Gali Baharav-Miara, Netanyahu ha mostrato il suo vero volto: quello di un leader disposto a piegare lo stato di diritto pur di non perdere il controllo.

Non è solo una crisi politica: è una crisi morale, istituzionale, democratica. È il tramonto del consenso. È la caduta dell’illusione che Israele possa rimanere una democrazia se chi governa non ne rispetta i fondamenti.

Il popolo si solleva

Le strade di Israele non sono più silenziose. Sono piene di famiglie, di giovani, di anziani che tengono in mano cartelli con scritto “Basta spargimento di sangue”, “Fermiamo la guerra, ora!”. È un popolo che non vuole essere complice della distruzione, che chiede la liberazione degli ostaggi ancora trattenuti a Gaza, che rifiuta la logica della vendetta e del fuoco incrociato.

Le manifestazioni di sabato segnano un punto di non ritorno. Non si tratta più di proteste isolate o settoriali: è un movimento nazionale contro l’uomo che ha spezzato il patto tra governo e cittadino. La rottura della tregua con Gaza e gli attacchi al Libano non hanno fatto altro che alimentare la paura e la rabbia. I cittadini temono per la vita dei loro concittadini ancora prigionieri, mentre Netanyahu continua a bombardare, come se le vite civili, israeliane o palestinesi, fossero semplici pedine sacrificabili.

Verso una guerra civile?

Mai come oggi Israele ha rischiato un collasso interno. La frattura tra il governo e la società civile è profonda, dolorosa, quasi irreparabile. Il senso di giustizia, l’identità democratica, il rispetto per la legge: tutto ciò che ha tenuto in piedi Israele fino a oggi è sotto attacco. Non da un nemico esterno, ma da chi siede al potere.

La possibilità di una guerra civile, fino a poco tempo fa impensabile, è ora uno spettro reale. L’estremismo di Netanyahu sta polarizzando il Paese, radicalizzando le posizioni, esasperando gli animi. Le forze armate sono stremate, le istituzioni delegittimate, i cittadini esasperati.

Un futuro da ricostruire

Non sarà facile risalire da questo abisso. Ma la voce delle piazze, la forza di un popolo che non vuole arrendersi all’oscurità, è la luce nella tempesta. Israele ha bisogno di un cambiamento radicale, di un ritorno ai valori fondanti della sua democrazia. Ha bisogno di nuovi leader, di una politica che metta al centro la vita umana, non la propaganda.

Benjamin Netanyahu ha perso il Paese. Ora il Paese deve riprendersi da lui.