
Oggi, domenica 26 gennaio 2025, i cittadini bielorussi sono chiamati alle urne per eleggere il presidente. Tuttavia, questa tornata elettorale, come già avvenuto nelle precedenti, è stata definita dalla comunità internazionale e dall’opposizione in esilio una vera e propria farsa. Aleksandr Lukašenko, al potere dal 1994, si appresta a ottenere il suo settimo mandato consecutivo. Un percorso politico segnato da repressione sistematica, intimidazioni e uno svuotamento totale del processo democratico.
Secondo il Parlamento Europeo, le elezioni del 26 gennaio non offrono alternativa. Una risoluzione adottata con 567 voti favorevoli descrive la competizione come “fittizia”, sottolineando come i cinque candidati siano stati selezionati per garantire la totale assenza di sfida al presidente in carica. Hanna Kanapatskaja, ex deputata formalmente indipendente, è stata indicata dall’opposizione come “un’emanazione del regime”. Gli altri sfidanti – Sergej Syrankov, Oleg Gaidukevič e Aleksandr Chižnyak – rappresentano partiti filogovernativi, allineati con il potere centrale, piuttosto che una reale alternativa.
Le ultime elezioni libere in Bielorussia risalgono al 1994, anno in cui Lukašenko vinse promettendo di combattere la corruzione e difendere i valori ‘sovietici’. Da allora, il presidente ha consolidato il potere attraverso repressioni violente e la manipolazione delle istituzioni. Nel 2020, la dichiarazione di una sua vittoria con l’80% dei voti scatenò mesi di proteste e una dura repressione, culminata in decine di migliaia di arresti e numerosi casi di violenze da parte delle forze di sicurezza. Secondo Viasna, una delle principali organizzazioni per i diritti umani in Bielorussia, oltre 1.300 prigionieri politici sono attualmente detenuti, tra cui il premio Nobel per la pace Ales’ Beljackij.
Darja Rudkova, cittadina bielorussa che vive in esilio, su EuroNews descrive la situazione attuale come “un clima di paura soffocante”. L’opposizione politica è stata, in pratica, quasi del tutto eliminata: molti leader sono stati imprigionati, perseguitati o costretti a fuggire. L’ultimo esempio di questa repressione è l’anticipazione delle elezioni a gennaio, in pieno inverno, una mossa calcolata per scoraggiare eventuali manifestazioni di dissenso.
Il legame tra Minsk e Mosca è più solido che mai. Lukašenko ha trasformato la Bielorussia in uno stato satellite della Russia, accettando persino di ospitare armi nucleari tattiche sul proprio territorio. Dal febbraio 2022, il territorio bielorusso è stato utilizzato come base per l’invasione russa dell’Ucraina. Secondo il Parlamento Europeo, questo rapporto di dipendenza rafforza il controllo russo sulla regione e rappresenta una minaccia per la stabilità europea.
Nonostante occasionali tentativi di placare l’Occidente in passato, Lukašenko ha scelto la via della repressione sistematica. Parallelamente, l’economia rimane fortemente influenzata dal modello sovietico, con un governo che scoraggia l’uso della lingua bielorussa e promuove il russo come lingua ufficiale.
L’Unione Europea ha denunciato queste elezioni come una “farsa totale”. La Commissione Europea ha dichiarato: “Non sono elezioni quando si sa già chi vincerà”. Dal 2020, l’UE ha imposto sanzioni crescenti contro il regime di Minsk, sanzionando 287 individui e 39 entità, incluso lo stesso Lukašenko. Recentemente, Bruxelles ha stanziato 30 milioni di euro per sostenere la società civile bielorussa, portando a 170 milioni il totale degli aiuti erogati dal 2020.
Tuttavia, secondo gli analisti, queste misure non sono sufficienti a destabilizzare un regime che si nutre di isolamento e propaganda. Amnesty International ha denunciato: “Le autorità hanno creato un clima di paura soffocante, mettendo a tacere tutto e tutti coloro che contestano il governo”.
Lukašenko rappresenta l’esempio più evidente di una “democrazia illiberale”, un sistema che adotta le apparenze di una democrazia – elezioni, costituzioni, parlamenti – svuotandole però di ogni sostanza. Il modello bielorusso si allinea con quello russo: entrambi i leader mantengono il potere attraverso la manipolazione mediatica, il controllo delle istituzioni e la repressione degli oppositori.
Ex direttore di aziende agricole, Aleksandr Lukašenko ha mantenuto lo stile di governo tipico dell’epoca sovietica, scoraggiando attivamente qualsiasi forma di dissenso e utilizzando il KGB, ereditato dall’Unione Sovietica, per diffondere paura e controllo. È l’unico leader europeo a mantenere la pena di morte, eseguita con un colpo alla nuca.
La situazione in Bielorussia non riguarda solo il popolo bielorusso, ma rappresenta una sfida per la comunità internazionale. La diffusione di regimi che svuotano la democrazia delle sue fondamenta costituisce un pericolo per i valori liberali globali. La comunità internazionale deve agire con maggiore decisione. Sanzioni più severe, sostegno all’opposizione e strategie efficaci per combattere la propaganda sono strumenti essenziali per contrastare l’espansione di questi regimi autoritari.
Se la Bielorussia è il laboratorio di questa “democrazia illiberale”, la Russia di Vladimir Putin ne è il modello perfezionato. Fermare l’espansione di queste false democrazie è un imperativo non solo per preservare i diritti dei bielorussi, ma anche per difendere la democrazia come valore universale.