Vogliamo proprio essere gli ultimi?

Mentre anche in Europa sempre più nazioni riconoscono lo stato di Palestina, il governo italiano nicchia definendo “controproducente” il forte atto politico

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Sono già più di 190 le Nazioni che a livello mondiale riconoscono lo Stato di Palestina o che lo riconosceranno alla prossima Assemblea delle Nazioni Unite. L’Italia non c’è. Negli anni passati l’Occidente giustificava la propria latitanza sostenendo che “…in fondo i Paesi che riconoscono lo stato palestinese sono quelli del terzo mondo, dell’Africa, dell’America Latina, dell’Asia, non quelli evoluti, l’America, l’Europa”. Ma ora che questo muro di cristallo è stato infranto persino nella Unione Europea da nazioni risolute come la Spagna, la Francia e, seppure condizionatamente, la Gran Bretagna e la Germania, gli assenti si notano ancora di più.

Atrocità nella Striscia e il risveglio dell’Europa

E l’Italia non c’è. Il massacro dei civili palestinesi è sotto gli occhi di tutti ogni giorno. L’infamia dello spostamento forzato della popolazione della striscia di Gaza da nord a sud e viceversa è costante e al limite della tortura; e poi i bombardamenti sugli ospedali, sulle scuole, sulle ambulanze che stavano cercando di prestare soccorso; e poi la carestia, i morti per fame, gli spari sulla folla che cerca di raschiare un po’ di cous cous dal fondo dei pentoloni…  e il governo italiano che afferma “riconoscere lo Stato di Palestina adesso sarebbe controproducente”. Controproducente per chi? Per cosa?

Parole piene di enfasi, ma risultati zero

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani giustifica così l’operato del governo italiano: “L’Italia è ili primo Paese al mondo per numero di palestinesi feriti o malati accolti e curati”. Verissimo, ma questa è un’azione umanitaria, non un’azione politica. L’Italia con le sue organizzazioni non governative è in prima linea su tutti i fronti di crisi. Ma lo Stato dov’è? Per fermare un criminale come Netanyiahu occorrono azioni politiche: riconoscimento dello stato di Palestina, subito. A seguire, annullamento del memorandum per la fornitura di armi a Israele. Il più grande alleato di Israele, gli Stati Uniti, non disturberanno mai Netanyiahu e il suo governo di estrema destra. Eppure, anche Trump ha dovuto ammettere che “A Gaza mi sembra che effettivamente si muoia di fame” tranne poi, un paio di settimane dopo, negare il visto di ingresso ai delegati palestinesi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

L’attacco alle istituzioni di Trump a sostegno dell’amico Netanyiahu

Si tratta di un fatto senza precedenti, che va contro i diritti umani e contro il diritto internazionale. Tuttavia si tratta di un chiaro atto politico: Trump vuole delegittimare (ulteriormente) l’ONU e al tempo stesso contrastare quei Paesi europei che vogliono riconoscere lo Stato di Palestina nella sede delle Nazione Unite. Ma il Palazzo di vetro dell’ONU non si trova negli Stati Uniti per caso: gli USA sono la potenza che ha caldeggiato la nascita della Società delle Nazioni prima, e delle attuali Nazioni Unite, poi. Che ha voluto che la sua sede venisse ospitata a New York. Azioni politiche pro o contro dunque, con secondi fini o con fini fin troppo definiti e perseguiti. Ma comunque azioni politiche. Nel frattempo la società civile israeliana insorge e chiede la fine della guerra mentre lo scrittore David Grossman, anch’esso israeliano, dichiara: “Ho sempre maneggiato con cura la parola genocidio, per le ferite storiche impresse nella memoria del mio popolo, ma quello che sta accadendo a Gaza è genocidio”. E intanto l’Italia, che potrebbe essere un tassello pesante nel mosaico che si sta costituendo tra gli Stati europei per il sostegno alla nascita di uno stato palestinese e dei palestinesi, che fa? Nulla. Fa melina, si nasconde dietro frasi fatte. La Storia ci giudicherà. Vogliamo proprio essere gli ultimi?

Foto di hosny salah da Pixabay