
Nel numero del 14 aprile 2025, The New Yorker ha pubblicato una vignetta dell’illustratore Adam Sacks che ha generato grande indignazione tra i credenti di tutto il mondo. La scena raffigura l’Ultima Cena, ma in chiave satirica. Gesù, rivolgendosi agli apostoli, dichiara “Questo è il mio corpo, il vino è il mio sangue, e il coniglietto di cioccolato è una simpatica leccornia primaverile”. Sul tavolo, accanto a pane e vino, troneggia un grande coniglio di cioccolato.
Il tempismo e il contenuto dell’immagine hanno colpito un nervo scoperto: con la Settimana Santa e la Pasqua ebraica alle porte, la vignetta è apparsa a molti come una palese mancanza di rispetto nei confronti di due delle principali religioni monoteiste.
L’importanza della commemorazione
Con oltre 2,3 miliardi di cristiani nel mondo, la Settimana Santa rappresenta il momento culminante dell’anno liturgico, in cui si riflette sulla passione, morte e resurrezione di Cristo. Parallelamente, circa 16 milioni di ebrei celebrano la Pasqua (Pesach), che rievoca la liberazione degli Israeliti dalla schiavitù in Egitto.
La scelta del New Yorker di ironizzare proprio sull’istituzione dell’Eucaristia – uno dei sacramenti fondamentali del cristianesimo – e farlo in una cornice che richiama anche il Seder pasquale ebraico, è stata letta come un gesto volutamente provocatorio e offensivo.
The New Yorker: caduta di stile per una rivista storica
Fondata nel 1925, The New Yorker è nota per il suo stile raffinato e per l’elevata qualità giornalistica. Tuttavia, negli ultimi anni la rivista sembra attraversare un periodo di incertezza editoriale. La pubblicazione della vignetta arriva pochi mesi dopo un’altra gaffe, contenuta in un reportage dedicato alle suore cattoliche in Texas che visitano i condannati a morte. In quell’articolo, la terminologia religiosa fu usata in modo impreciso, suscitando perplessità tra lettori ed esperti di religione.
Frasi come “celebrò la Messa con il diacono Ronnie e un prete” oppure “l’Eucaristia evoca ciò che Gesù servì durante l’Ultima Cena” mostrano una certa superficialità nell’approccio al linguaggio sacro. A seguito di quelle inesattezze, una lettera di protesta fu pubblicata nel numero del 7 aprile, con il discutibile titolo redazionale “Per amore di Cristo”.
Satira o disprezzo? “The New Yorker” e il confine sottile
Mentre è legittimo aspettarsi satira e ironia da una pubblicazione come di The New Yorker, l’ironia che colpisce i sentimenti religiosi di milioni di persone rischia di oltrepassare il limite della libertà di espressione per sfociare nella provocazione gratuita. In particolare, quando viene diffusa in un periodo tanto significativo come quello attuale.
Il sospetto è che la rivista, come molte altre testate, stia cercando di conquistare un pubblico più giovane, rinunciando però a quella sobrietà che l’aveva resa celebre. L’introduzione di linguaggio scurrile e di contenuti sempre più dissacranti sembra far parte di una strategia editoriale che privilegia il sensazionalismo.
Il rischio di alienare i lettori storici
Se l’obiettivo era attirare attenzione, The New Yorker ci è riuscito. Ma offendere due fedi religiose in uno dei momenti spiritualmente più intensi dell’anno non è certo una mossa lungimirante. A lungo termine, questo tipo di provocazione potrebbe rivelarsi un boomerang, alienando lettori fedeli che fino ad ora avevano apprezzato l’equilibrio tra intelligenza e ironia.
Più che satira, una provocazione sterile
Il mondo ha bisogno di dialogo e rispetto, non di sarcasmo gratuito nei confronti delle fedi religiose. Il New Yorker, un tempo simbolo di rigore e raffinatezza, sembra aver smarrito la bussola del buon gusto. Una vignetta può far sorridere o riflettere. Quando però diventa solo uno strumento di derisione, tradisce la vera essenza del giornalismo satirico.