Vanity Fair, il fotografo difende il primo piano choc di Karoline Leavitt

Christopher Anderson replica alle accuse di parzialità dopo lo scatto ravvicinato che ha acceso il dibattito politico e mediatico sullo staff di Trump.

vanity fair

Il servizio fotografico pubblicato da Vanity Fair sul primo anno della nuova amministrazione Trump ha scatenato un’ondata di reazioni, soprattutto per un’immagine in particolare. Un primo piano estremo della portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt, 28 anni. Lo scatto, giudicato da molti “poco lusinghiero”, ha attirato critiche feroci contro la rivista, accusata di trattare lo staff di Trump con maggiore severità rispetto alle precedenti amministrazioni democratiche.

Il silenzio rotto dal fotografo Christopher Anderson

A distanza di giorni, il fotografo Christopher Anderson ha deciso di intervenire pubblicamente per difendere il proprio lavoro. In un’intervista a The Independent, Anderson ha spiegato che i ritratti molto ravvicinati rappresentano una cifra stilistica costante della sua carriera, in particolare nei servizi dedicati alla politica.

Secondo il fotografo, l’obiettivo non è mai quello di mettere in cattiva luce un soggetto, ma di raccontare il “teatro della politica” attraverso immagini dirette e senza filtri.

“Non è un attacco, è il mio stile”

Anderson ha respinto con decisione l’idea che lo scatto fosse intenzionalmente denigratorio. Ha sottolineato di aver realizzato ritratti simili di persone appartenenti a ogni orientamento politico, ribadendo che il suo approccio non cambia in base al ruolo o all’ideologia del soggetto.

Per lui, l’autenticità visiva resta centrale: entrare molto vicino al volto significa catturare ciò che ha visto realmente in quel momento, senza costruzioni artificiali.

Nessun ritocco e nessun Photoshop

Intervistato anche dal Washington Post, Anderson ha affrontato uno dei punti più discussi: i presunti segni di iniezioni visibili intorno alla bocca di Leavitt. Il fotografo ha chiarito di non aver alterato l’immagine in alcun modo, né di aver corretto imperfezioni o dettagli della pelle.

Secondo Anderson, intervenire in post-produzione per cancellare elementi reali sarebbe stato fuorviante. A suo avviso, nascondere ciò che l’obiettivo ha catturato avrebbe significato tradire la verità dell’immagine.

Il servizio fotografico di Vanity Fair e i protagonisti

Il reportage del magazine non si è limitato a Karoline Leavitt. Tra i ritratti figurano anche il vicepresidente J.D. Vance, il segretario di Stato Marco Rubio, i vice capi di gabinetto James Blair e Dan Scavino, oltre al consigliere per la sicurezza interna Stephen Miller e alla potente capo dello staff Susie Wiles.

Proprio il profilo dedicato a Wiles ha contribuito ad alimentare le polemiche, per i giudizi severi espressi nei confronti di Trump, Vance ed Elon Musk.

La reazione ufficiale della Casa Bianca

La Casa Bianca ha risposto duramente. La portavoce Taylor Rogers ha accusato Vanity Fair di aver deliberatamente cercato di umiliare Leavitt e altri membri dello staff attraverso scelte fotografiche e editoriali mirate. Rogers ha definito Leavitt una professionista brillante e una delle figure più promettenti della politica americana.

Social network divisi tra difesa e scherno

Sui social media la discussione si è polarizzata. Molti utenti hanno difeso Leavitt, definendo la rivista “propaganda liberale” e accusandola di distorcere la realtà. Altri hanno invece ironizzato sull’immagine, prendendo di mira l’aspetto della portavoce e ipotizzando interventi estetici.

I commenti su Instagram e X hanno alternato accuse di manipolazione politica a prese in giro personali, trasformando il ritratto in un caso mediatico virale.

Il parere degli esperti di chirurgia estetica

Già nei mesi precedenti, alcuni chirurghi plastici avevano commentato le voci sull’aspetto di Leavitt. La dottoressa Jennifer Harrington, intervistata dal Daily Mail, aveva parlato di eventuali interventi estremamente discreti, elogiando l’aspetto naturale e la qualità della pelle della giovane portavoce.

Il contesto politico dietro la tempesta mediatica

A rendere il caso ancora più esplosivo è stato il contenuto dell’intervista a Susie Wiles, che ha paragonato Trump al padre alcolizzato, parlando di una “personalità da dipendente”. Dichiarazioni che hanno costretto lo stesso Trump a intervenire, chiarendo di non bere e di aver sempre riconosciuto una predisposizione personale alle dipendenze.

La risposta finale di Karoline Leavitt

Leavitt ha liquidato la vicenda parlando di “giornalismo disonesto”, accusando Vanity Fair di aver estrapolato frasi dal contesto e di aver omesso elementi chiave per costruire una narrazione parziale. Per la Casa Bianca, l’intero servizio rappresenterebbe l’ennesimo esempio di copertura mediatica ostile.