Uniti solo davanti alle telecamere

Le Comunali hanno riacceso le tensioni e le Regionali potrebbero essere il colpo di grazia. L’unità è una finzione sempre più fragile

Maggioranza

A Palazzo Chigi si è consumata, più che un vertice, una resa dei conti. Il confronto tra Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani avrebbe dovuto essere un ordinario aggiornamento settimanale, ma il clima ha tradito l’ufficialità: il centrodestra di governo è oggi una coalizione agitata, priva di una bussola comune e attraversata da frizioni sempre più visibili.

La sconfitta netta alle ultime Comunali, in primis a Genova, città simbolo dove la destra puntava a confermare la propria egemonia, ha agitato le acque. E se la premier ha cercato di sminuire il risultato, definendolo «non un test per il governo», i numeri e il malcontento raccontano altro. La verità è che quella botta si è fatta sentire. E ha scoperchiato tensioni già latenti, che oggi si riversano su ogni dossier: dai dazi Usa alla linea sul Medio Oriente, dal Ponte di Messina alla riforma elettorale.

Le parole di Tajani contro la retorica sovranista, la reazione della Lega con il solito Vannacci in prima linea, gli inviti continui di Meloni alla prudenza: sono il sintomo di una convivenza forzata. Il governo si presenta come compatto all’esterno, ma ogni giorno traballa sotto i colpi incrociati tra le sue anime. Fratelli d’Italia prova a mantenere una linea istituzionale e internazionale, evitando scivoloni su temi delicati come Gaza o i rapporti con Bruxelles, ma trova nei suoi alleati più ostacoli che sponde.

Il caso del Ponte di Messina è emblematico. Salvini ne ha fatto una bandiera, ma Meloni non vuole forzature né tensioni con il Quirinale. La stessa dinamica si è ripetuta con la questione del terzo mandato per i governatori, dove il pressing della Lega si è scontrato con il no di FdI e il ricorso alla Corte costituzionale. Sullo sfondo, il timore più grande: perdere anche alle Regionali d’autunno.

È su questo fronte che si gioca la partita vera. Regioni strategiche potrebbero cambiare colore, e per Meloni si tratterebbe di una ferita profonda. Il rischio è che l’effetto domino si allarghi alla tenuta del governo, mentre l’opposizione, pur frammentata, cerca di ricompattarsi almeno sui grandi temi sociali, come la crisi umanitaria a Gaza.

Il paradosso è evidente. La maggioranza attacca le opposizioni definendole ideologicamente incoerenti, ma intanto al proprio interno si scontrano visioni inconciliabili: da una parte i sovranisti leghisti pronti allo scontro con l’Europa, dall’altra i conservatori di Meloni in cerca di equilibrio istituzionale, e infine i liberali di Forza Italia, impegnati a salvare una linea atlantista e moderata.

La foto di gruppo del centrodestra appare ogni giorno più sbiadita. Le ambizioni personali, le rivalità di partito e la competizione per la leadership futura non aiutano a costruire una visione comune. E Giorgia Meloni, finora abile a tenere insieme i cocci, oggi si ritrova a dover fare anche da arbitro, oltre che da premier.

Se la stagione delle elezioni regionali dovesse segnare nuove sconfitte, sarà difficile continuare a mascherare con il “centrodestra unito” una realtà che di unito ha ormai solo la sigla.