L’Ucraina resiste, l’Unione Europea scompare

Dopo il duro scontro alla Casa Bianca, Trump e Putin si preparano a negoziare il futuro dell’Ucraina. Zelensky resta solo, mentre l’Europa scompare dal quadro geopolitico

Donald Trump - Volodymyr Zelensky

Alla Casa Bianca si è consumato uno dei momenti più drammatici della diplomazia internazionale degli ultimi anni. Donald Trump e Volodymyr Zelensky, due uomini che incarnano in modo opposto la volontà politica, si sono affrontati in un incontro che più che un colloquio ha avuto il sapore di un ultimatum.

Secondo ricostruzioni di stampa statunitense ed europea, il presidente americano avrebbe intimato al leader ucraino di accettare la realtà del fronte, “fermare tutto e tornare a casa”, accettando di fatto la perdita del Donbass e delle aree già occupate dalla Russia. Zelensky avrebbe risposto con fermezza, rifiutando ogni ipotesi di cessione territoriale. La tensione, secondo fonti interne, sarebbe esplosa in una “partita di urla” che ha lasciato entrambi i leader frustrati e il tavolo della Casa Bianca come un campo di battaglia verbale.

Trump e la “pace americana”

Trump, che si appresta a incontrare Vladimir Putin a Budapest nelle prossime settimane, ha costruito la sua narrativa sul pragmatismo del “fermiamoci dove siamo”. Il suo calcolo politico è chiaro: portare a casa una “pace americana” a costo di congelare la guerra sulle linee attuali, garantendo la fine delle ostilità ma anche, implicitamente, la legittimazione delle conquiste russe. È un approccio transazionale, tipicamente trumpiano, chiudere il dossier ucraino come si chiude un contratto, con perdite accettate e guadagni garantiti a chi resta al tavolo.

La fermezza di Zelensky: sovranità o sconfitta

Ma per Zelensky, il prezzo della pace non può essere la mutilazione della sovranità nazionale. Il presidente ucraino lo ha detto chiaramente in un’intervista alla NBC: “Se vogliamo davvero una pace giusta e duratura, abbiamo bisogno di entrambe le parti. Ma non si può parlare di accordi se non ci viene riconosciuto il diritto di esistere come Stato integro.” È un messaggio che va oltre la tattica diplomatica, è la riaffermazione di un principio fondante dell’ordine internazionale, quello per cui la forza non può ridisegnare i confini.

Budapest: il tavolo sopra la testa dell’Ucraina

In questo contesto, il vertice di Budapest tra Trump e Putin rischia di diventare più che un incontro per la pace, potrebbe trasformarsi in una trattativa sopra la testa dell’Ucraina e, di riflesso, dell’Europa. Il Cremlino, per bocca di Dmitry Peskov, ha già chiarito che “non ci sono ancora dettagli” sull’agenda, ma la logica geopolitica è trasparente: Mosca attende che Washington riconosca, anche solo de facto, le nuove realtà territoriali.

Tra ambizioni americane e sopravvivenza ucraina

Il vero nodo, tuttavia, è politico. Trump vuole una vittoria diplomatica da presentare come prova del suo “genio negoziale” e della capacità di chiudere guerre che i democratici hanno solo prolungato. Zelensky, invece, gioca la partita esistenziale, ogni concessione territoriale significherebbe sconfessare il sacrificio del suo popolo e disgregare l’identità di una nazione nata dal sangue e dalla resistenza.

L’Europa assente: spettatrice della propria fine

Tra i due, resta sospeso il destino dell’Europa. L’Unione, prigioniera della propria indecisione strategica, osserva da lontano l’asse Washington-Mosca riattivarsi come un fantasma della Guerra Fredda. Eppure, se l’Ucraina dovesse essere spinta a cedere il Donbass sotto pressione americana, l’intero equilibrio continentale ne uscirebbe incrinato, significherebbe accettare che la forza prevalga sul diritto, aprendo la strada ad altre revisioni di confine e ad altre guerre “congelate”.

Donald Trump ha costruito la sua carriera politica sull’idea di “America First”. Ma in questo caso, il rischio è che l’America arrivi prima, e l’Ucraina resti indietro, sola. Zelensky ha scelto di resistere, e la sua fermezza, per quanto isolata, ha un valore che trascende la contingenza militare, è un atto di difesa dell’ordine democratico internazionale.

Budapest, ultima frontiera della libertà

A Budapest, il mondo guarderà non solo al confronto tra Trump e Putin, ma alla tenuta di quei principi che ancora distinguono la diplomazia dalla resa. La vera partita non è sul Donbass: è sul futuro dell’idea stessa di libertà, in un continente dove l’Unione Europea, politicamente dissolta nella sua irrilevanza, rischia di essere solo uno spettatore silenzioso della propria inconsistenza politica.