
L’Ucraina non voterà ancora. A più di tre anni dall’inizio della legge marziale, e a oltre un anno dalla scadenza del mandato presidenziale di Vladimir Zelenskij, la Verchovna Rada l’8 ottobre ha approvato la Risoluzione n. 14031, che sancisce “l’impossibilità di tenere elezioni locali in condizioni di guerra e sotto la legge marziale”. La misura, adottata con 308 voti favorevoli su 450, garantisce la continuità del potere locale fino al ritorno della pace e alla possibilità di svolgere elezioni conformi agli standard democratici europei.
Secondo l’agenzia di stampa nazionale ucraina Ukrinform, “la Verchovna Rada ha adottato una risoluzione per assicurare la continuità degli organi rappresentativi di autogoverno locale in Ucraina nel contesto dell’aggressione militare della Federazione Russa”. Il documento attribuisce “la responsabilità per l’impossibilità di organizzare e svolgere tempestivamente le elezioni locali secondo gli standard democratici” all’aggressore, la Russia.
La risoluzione stabilisce che i sindaci e i consigli regionali “continueranno a esercitare le proprie funzioni fino a quando non saranno elette nuove autorità locali e queste non assumeranno i loro poteri”. Una scelta che, come spiegato da Decentralization.ua – il portale istituzionale ucraino dedicato alla riforma del decentramento e all’autogoverno locale – mira a “preservare la legittimità e la continuità del governo locale durante la legge marziale”, in linea con la Carta Europea dell’Autonomia Locale.
Il primo a rompere il silenzio è stato il parlamentare Jaroslav Železnjak, del partito Holos, che sul suo canale Telegram ha scritto con tono diretto e senza giri di parole: “Per dirla semplicemente, non ci saranno elezioni locali nell’ottobre 2025”. Un messaggio breve, ma destinato a rimbalzare ovunque. Nel giro di poche ore la notizia è stata ripresa da Gwara Media, che ha rilanciato la stessa formula di Železnjak, e da testate come Glavnoe e Ukrainian News, che ne hanno citato la nota insieme ai dettagli sul voto parlamentare e sul numero dell’atto.
Sull’argomento, il portale francese Intelligence Online ha riferito di presunte ambizioni politiche dell’ex comandante in capo Valerij Zalužnyj, oggi ambasciatore ucraino nel Regno Unito, e del capo dell’intelligence militare Kyrylo Budanov. Tuttavia, la portavoce di Zalužnyj, Oksana Torop, ha smentito tali voci definendole “giochi politici su commissione”. Lo stesso Zalužnyj, su Telegram, ha ribadito di “non riconoscere alcuna idea di elezioni durante la guerra” e di non avere legami con alcuna forza politica.
La decisione arriva pochi giorni dopo un nuovo atto di centralizzazione del potere. Come riportato oggi da Reuters, il presidente Zelenskij “ha nominato Serhij Lysak, ex governatore della regione di Dnipropetrovsk, a capo della città portuale di Odesa, dopo aver revocato la cittadinanza dell’ex sindaco Hennadij Trukhanov”. Quest’ultimo, decaduto automaticamente, “ha negato di possedere un passaporto russo e ha annunciato che porterà il caso in tribunale”.
Sempre su Reuters si legge che “Lysak guiderà una nuova amministrazione militare cittadina, una pratica comune nell’Ucraina in tempo di guerra che conferisce al presidente un maggiore controllo sulle autorità locali, ma che è stata criticata da alcuni oppositori come antidemocratica”.
Le elezioni a Odessa, come nel resto del Paese, restano sospese “sotto la legge marziale”, prolungata per l’ennesima volta ad aprile fino ad agosto 2025 e successivamente prorogata.
La Costituzione ucraina vieta espressamente di tenere elezioni durante la legge marziale. Da febbraio 2022, l’Ucraina vive in uno stato d’eccezione permanente che ha già bloccato le parlamentari del 2023 e le presidenziali del 2024. Di conseguenza, sia i deputati della Rada sia Zelenskij “sono formalmente privi di legittimità”, come sottolineato da diverse testate, ma continuano a esercitare il potere in virtù della continuità istituzionale.
Lo scorso giugno, il presidente della Verchovna Rada, Ruslan Stefančuk, durante un intervento televisivo, aveva spiegato che “la Costituzione non specifica come si debbano tenere elezioni alla scadenza della legge marziale, perciò è necessario un atto legislativo speciale”. Sempre lo stesso mese, in un’intervista al Kyiv Independent, Stefančuk aveva ribadito: “Stiamo lavorando a un nuovo disegno di legge che regoli le cosiddette elezioni post-belliche. Le persone devono poter esercitare il loro diritto costituzionale di voto, e sono certo che troveremo il giusto compromesso legislativo”.
Anche l’agenzia Ukrainian News ha confermato che “la Verchovna Rada sta sviluppando un progetto di legge che disciplinerà lo svolgimento delle elezioni dopo la fine della guerra”. Secondo Stefančuk, servirà garantire il voto ai militari al fronte e ai milioni di profughi all’estero, oltre a ristabilire i dati statistici di una popolazione radicalmente cambiata dal conflitto.
Il giurista Ivan Fursenko ha spiegato che “l’impossibilità delle elezioni non deriva solo dalla mancanza di sicurezza fisica, ma anche dall’assenza di dati demografici certi”. L’ultimo censimento risale al 2001, e oggi sarebbe “irrealistico aggiornare in modo completo i dati statistici, viste le fughe, le occupazioni territoriali e i trasferimenti interni”. In questo vuoto censuario, la “continuità del potere” diventa anche continuità di sistema, con il rischio, sottolineano diversi osservatori, che si traduca in una continuità di corruzione e di clientelismo locale.
Come ricordato da Reuters l’aprile scorso, il Parlamento di Kiev aveva approvato l’estensione della legge marziale fino ad agosto con 357 voti favorevoli, rinviando di fatto qualsiasi tornata elettorale. “Il presidente Zelenskij ha affrontato pressioni per tenere elezioni da parte di Donald Trump, che lo ha definito un dittatore”, scrive l’agenzia britannica, “una critica che ha spinto molti ucraini a stringersi attorno al leader, aumentando la sua popolarità”.
L’ex presidente Petro Porošenko, pur votando a favore della proroga, aveva accusato Zelenskij di “aver iniziato ad abusare della legge marziale, usandola non solo per difendere il Paese ma per costruire un regime autoritario”, ma aveva aggiunto: “Non c’è dubbio che la legge marziale debba essere estesa, specialmente dopo gli attacchi russi su Sumy e Kryvyi Rih”.
Ad oggi però le tensioni tra Washington e Kiev sul tema del voto persistono. A settembre, Zelenskij aveva dichiarato a Fox News che “l’Ucraina potrebbe tenere elezioni presidenziali se fosse mantenuto il cessate il fuoco sulla linea del fronte”. E ad agosto, durante un vertice alla Casa Bianca, aveva detto al Presidente Donald Trump: “Sono pronto a far svolgere le elezioni non appena la guerra sarà finita”.
L’analista Orysia Lutsevych, del think tank Chatham House, ha dichiarato: “C’è un ampio consenso politico sul fatto che non si debbano tenere elezioni prima di sei mesi dalla fine della legge marziale. E sospetto che la legge marziale non sarà revocata rapidamente, anche se si firmasse un cessate il fuoco, per paura che i russi possano violarlo in qualsiasi momento”.
Alle accuse di autoritarismo, Zelenskij ha replicato con fermezza, respingendo le insinuazioni e definendo il dato secondo cui avrebbe un consenso del 4% “disinformazione che proviene dalla Russia”. Un modo per rimarcare che, anche sotto le bombe, la battaglia per la verità resta parte del fronte. Stando a The Guardian, i sondaggi più attendibili lo accreditano oggi di un tasso di approvazione del 57%, una percentuale che in Europa pochi leader possono vantare, e che supera persino quella del presidente americano Donald Trump.
La risoluzione n. 1403 si pone dunque come il simbolo di un Paese sospeso tra democrazia e necessità. Per Vitalij Bezhin, capo della sottocommissione per l’autogoverno locale, “questa decisione riguarda la stabilità e la fiducia. Nessun aggressore potrà interrompere il lavoro dell’autogoverno ucraino in tempo di guerra”.
Eppure, mentre i sindaci restano al loro posto e le urne chiuse, cresce l’ombra di un potere che rischia di restare senza legittimazione popolare. Ma fino ad allora, l’Ucraina resta un Paese che combatte e governa in stato d’eccezione.