Ucraina, aiuti a oltranza? L’Europa divisa, l’Italia sotto pressione

Senza trasparenza e riforme a Kiev, i 27 rischiano di finanziare un sistema ancora permeato dalla corruzione e di perdere la fiducia dei propri cittadini.

Von der Leyen - Volodymyr Zelensky

Mentre la guerra in Ucraina continua a trascinarsi in una spirale senza uscita chiara, l’Europa si trova di fronte a un bivio cruciale: continuare a finanziare Kiev con cifre colossali o affrontare le proprie contraddizioni interne. La lettera inviata da Ursula von der Leyen ai leader dei 27 Stati membri non lascia spazio a dubbi, l’Ucraina avrà bisogno di 135,7 miliardi di euro nel biennio 2026-2027. Di questi, oltre 83 miliardi serviranno a sostenere lo sforzo bellico, mentre altri 55 andranno a colmare le voragini di un’economia devastata, sempre più dipendente dagli aiuti occidentali.

Cifre che fanno tremare i polsi. E che, soprattutto, pongono domande scomode. Dove troverà l’Europa queste risorse? E, soprattutto, a che prezzo?

Le tre strade proposte da Bruxelles

Von der Leyen propone tre opzioni: contributi bilaterali a fondo perduto da parte degli Stati membri, un nuovo debito comune europeo o un prestito basato sugli asset congelati della Banca Centrale Russa. Tutte e tre le vie comportano costi politici, economici e legali. Ma la prima domanda che dovrebbe scuotere le cancellerie europee è un’altra: quanto è sostenibile per l’Europa, e in particolare per Paesi già sotto pressione come l’Italia, continuare a riversare decine di miliardi su un Paese dove la corruzione dilaga e la trasparenza è un concetto ancora tutto da costruire?

Il nodo irrisolto: la corruzione a Kiev

Non è questione di cinismo o disinteresse. È questione di realismo. Secondo dati recenti, la corruzione in Ucraina non solo non è stata debellata, ma ha continuato a minare la credibilità delle istituzioni, anche durante il conflitto. Se si vuole aiutare Kiev è tuttavia necessario esigere garanzie concrete, trasparenza, responsabilità. Non si può chiedere ai cittadini europei, già stremati da inflazione, caro energia e servizi pubblici in affanno, di finanziare a scatola chiusa una guerra che, al momento, sembra ben lontana da una soluzione diplomatica.

Il caso italiano: tra debito e sacrifici interni

In Italia, la situazione è particolarmente delicata. Con un debito pubblico che supera i 3.000 miliardi di euro e un’economia che fatica a crescere, ogni miliardo speso per l’estero deve essere sottratto a qualche capitolo di spesa nazionale. Sanità, istruzione, pensioni, trasporti, sono questi i settori che rischiano nuovi tagli per far posto a un ennesimo “contributo straordinario” sull’altare della geopolitica.

Non si tratta di chiudersi in un nazionalismo sterile, ma di ribadire una priorità di buon senso, l’interesse dei cittadini italiani non può essere sistematicamente sacrificato per tenere in piedi un impegno finanziario che, nella sua attuale forma, appare insostenibile. Né può essere giustificato dal solo timore che l’Ucraina possa cadere sotto l’influenza russa. La sicurezza europea, che pure conta, non si costruisce solo con le armi e con le sovvenzioni, ma anche con la coesione interna, la tenuta sociale, la fiducia tra cittadini e istituzioni.

Il rischio politico per l’Europa

Von der Leyen, nella sua lettera, ammonisce che “non ci sono opzioni facili” e che l’Europa “non può permettersi la paralisi”. Ma nemmeno può permettersi il default politico e sociale causato da scelte imposte dall’alto, in nome di una solidarietà che troppo spesso dimentica le esigenze interne degli Stati membri.

A dicembre, i leader europei avranno il compito gravoso di decidere. Speriamo non lo facciano con il pilota automatico inserito. Perché il prezzo della guerra, ormai, lo stanno pagando più i cittadini europei che chi ha invaso o chi è stato invaso. E tra i due fuochi, l’Italia rischia di bruciarsi.