
Dentro la Basilica di San Pietro, in un giorno di lutto e di raccoglimento per la scomparsa di Papa Francesco, si è consumato un momento che potrebbe cambiare il corso della storia contemporanea. Donald Trump e Volodymyr Zelensky, due leader separati da divergenze profonde e tensioni recenti, si sono stretti la mano e si sono parlati, hanno gettato le basi per un possibile cammino di pace. Un episodio breve, forse casuale nella coreografia ufficiale, ma denso di significati politici e, forse, spirituali.
La Casa Bianca ha parlato di un incontro “molto produttivo”. Kiev ha usato la parola “costruttivo”. Termini sobri, diplomatici, ma che, in un contesto tanto teso come quello della guerra in Ucraina, suonano come squilli di tromba. Mentre nella Basilica di San Pietro risuonavano le preghiere per il pontefice che ha dedicato la sua vita ai poveri e alla pace, nelle pieghe della diplomazia mondiale si intravedeva un barlume di speranza.
Zelensky, secondo il New York Times, è pronto a consegnare a Trump una controproposta negoziale: nessuna resa, nessuna concessione immediata, ma aperture che fino a ieri sembravano impossibili. L’Ucraina non cede sulla propria sovranità, ma accetta di non legare il proprio destino all’adesione immediata alla NATO. Chiede sicurezza, chiede giustizia nell’uso dei beni russi congelati, ma lascia spazio ai negoziati sui territori occupati, subordinandoli a un cessate il fuoco incondizionato.
Trump, arrivato a Roma con parole sorprendenti,”Russia e Ucraina sono molto vicine a un accordo”, ha aggiunto peso e urgenza a questo nuovo clima. Dopo mesi di scontri, accuse e reciproche incomprensioni, l’incontro nella città eterna, sotto lo sguardo del Papa scomparso, sembra quasi una regia divina. La Storia a volte sceglie scenari simbolici per suggerire nuove vie: quale luogo più adatto della Basilica di San Pietro, quale momento più sacro di un addio a un uomo che ha invocato fino all’ultimo giorno un mondo senza guerre?
Eppure, le insidie sono ovunque. Trump continua a ritenere inevitabile la sovranità russa sulla Crimea, un tema su cui Zelensky non può cedere senza tradire il sacrificio del suo popolo. Mosca, dal canto suo, resta ferma nella sua linea di rigida intransigenza. Ma forse il cambiamento comincia proprio da questi primi passi incerti, dal coraggio di parlarsi anche quando sembrava impossibile.
Se davvero, nei prossimi giorni, ci saranno “incontri molto significativi” come promette Zelensky, allora potremo dire che Papa Francesco, anche nella morte, ha compiuto un miracolo. Un pontefice che ha predicato il dialogo, la misericordia e il disarmo potrebbe aver dato l’ultima, grandiosa lezione: che la pace è sempre possibile, anche nei luoghi più insperati, anche nei cuori più induriti.
Il funerale di Papa Francesco non sia soltanto un omaggio al suo impegno terreno, ma l’inizio di un nuovo cammino. Non illudiamoci: la strada sarà lunga e difficile. Ma oggi, per la prima volta da mesi, possiamo sognare. Un sogno che da Roma potrebbe raggiungere Kiev, Mosca, Washington e tornare a noi, come un’eco di speranza.