Percepiscono pensione della nonna morta da vent’anni: madre e figlio nei guai

Scoperti dalla Guardia di Finanza di Milano: avrebbero incassato circa 400mila euro in modo illecito. Accuse di truffa aggravata ai danni dello Stato.

pensione morta

Due persone, una donna e suo figlio, sono finite sotto indagine per aver percepito la pensione di una familiare morta per oltre vent’anni. Questo quanto accertato dalla Guardia di Finanza di Milano. La truffa, emersa in seguito a controlli incrociati tra banche e istituti previdenziali, avrebbe permesso agli indagati di intascare complessivamente circa 400mila euro, maturati a partire dal 2005.

La vicenda ha inizio con il decesso dell’anziana parente, una pensionata il cui conto corrente risultava cointestato con la figlia. Da quel momento in poi, gli assegni mensili della pensione avrebbero continuato a essere accreditati e incassati senza che nessuno segnalasse la persona morta.

Il conto cointestato, pensione versata e il silenzio sul decesso

Gli investigatori ipotizzano che i due abbiano approfittato della mancata comunicazione ufficiale della morte all’istituto previdenziale e alla banca. Il conto corrente, era stato cointestato pochi mesi prima della scomparsa della donna. Questo ha permesso ai familiari di prelevare regolarmente le somme, senza particolari ostacoli da parte dell’istituto di credito.

Questo silenzio durato vent’anni ha garantito l’erogazione mensile della pensione, come se la beneficiaria fosse ancora in vita. Solo l’analisi dettagliata dei movimenti bancari e delle anomalie registrate negli anni ha consentito di far emergere l’inganno.

Falsi documenti e firme postume: le anomalie bancarie

L’inchiesta si è arricchita di elementi ulteriori dopo il riscontro di documenti falsificati. In particolare, la Guardia di Finanza ha segnalato l’uso di un documento d’identità riportante una data di rilascio successiva al decesso della pensionata, circostanza impossibile se non frutto di manipolazione.

Oltre a ciò, sono emersi moduli bancari compilati con i dati anagrafici e la firma della defunta oltre dieci anni dopo la sua morte. Un’anomalia che non ha lasciato spazio a dubbi sull’illiceità dell’operazione e che ha portato all’iscrizione dei due familiari nel registro degli indagati per truffa aggravata ai danni dello Stato.

La riflessione: il dilemma della restituzione

Un aspetto che inevitabilmente solleva interrogativi riguarda il possibile recupero delle somme indebitamente percepite. Se madre e figlio non dispongono di beni o risorse sufficienti a coprire l’ammontare della truffa, lo Stato potrebbe trovarsi davanti all’ennesimo caso in cui l’illecito è stato scoperto, ma il danno economico non sarà mai realmente riparato.

Resta inoltre da comprendere quale sarà l’esito giudiziario per i due indagati: se la loro condizione economica sarà dimostrata precaria, non è escluso che, pur con una condanna penale, possano evitare il rimborso integrale del maltolto, o finire per scontare pene alternative.

Un caso simbolico di falle nel sistema

Questa vicenda rappresenta un simbolo delle vulnerabilità presenti nei meccanismi di controllo tra enti previdenziali, istituti bancari e anagrafe. Una semplice comunicazione omessa ha aperto le porte a vent’anni di frode. Un caso che, oltre a indignare, pone l’attenzione sulla necessità di rafforzare i sistemi di verifica automatica tra le varie istituzioni pubbliche e finanziarie, per evitare che truffe simili possano ancora passare inosservate per così tanto tempo.