Tragedia in Nepal, alpinisti italiani trovati morti sotto una tenda di neve

Recuperati i corpi di Stefano Farronato e Alessandro Caputo, sorpresi dal ciclone Montha sul Panbari Himal. Ancora dispersi altri italiani, mentre emergono dubbi sui ritardi nei soccorsi.

Nepal vittime

Sono stati ritrovati insieme, stretti l’uno all’altro, sotto una tenda sepolta da oltre due metri di neve: così sono stati trovati Stefano Farronato, 50 anni, di Bassano del Grappa, e Alessandro Caputo, 28 anni, milanese, travolti dal maltempo sul Panbari Himal, vetta di 6.887 metri nell’Himalaya nepalese.
I due alpinisti sarebbero morti nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre, sorpresi dal ciclone Montha che ha colpito la zona con violente bufere di neve.

A ritrovarli è stato Valter Perlino, 64 anni, capospedizione e veterinario di Pinerolo, che – rimasto ferito al campo base – ha guidato le operazioni di soccorso fino a quota 5.242 metri.

Il maltempo e la decisione fatale di tornare indietro

Secondo le prime ricostruzioni, Farronato e Caputo avevano deciso di rientrare al campo base quando la tempesta li ha raggiunti. Le ipotesi più accreditate parlano di assideramento e soffocamento dovuto al peso della neve sulla tenda, che avrebbe impedito loro di uscire.

Il ciclone, arrivato due giorni prima rispetto alle previsioni, ha colpito duramente diverse spedizioni in corso nella regione himalayana, cogliendo di sorpresa anche alpinisti esperti e perfettamente equipaggiati.ù

Altri italiani dispersi sullo Yalung Ri

La tragedia del Panbari Himal non è purtroppo l’unica. Poche ore dopo, un’altra valanga si è abbattuta sul campo base dello Yalung Ri, sempre in Nepal, causando sette morti e dispersi.
Tra loro figurano Paolo Cocco, fotografo di Fara San Martino (Chieti), Marco Di Marcello, 37 anni, biologo e guida alpina abruzzese, e Markus Kirchler, altoatesino.

Nel bilancio complessivo risultano anche Jakob Schreiber (Germania), Christian André Manfredi (Francia) e due guide nepalesi, Padam Tamang e Mere Karki.
Le autorità locali hanno confermato il decesso di tre alpinisti italiani, mentre per altri sette connazionali non ci sono ancora notizie certe.

I soccorsi e le polemiche sui ritardi

Secondo quanto riportato dalle autorità nepalesi e confermato alla Farnesina, le squadre di soccorso hanno impiegato oltre otto ore per raggiungere il campo colpito a causa dei numerosi permessi governativi necessari per l’intervento.
Un ritardo che, secondo molti esperti, potrebbe aver aggravato le conseguenze della tragedia.

A sollevare il problema è anche Franco Salerno, dell’Istituto di Scienze Polari di Milano: «In questo periodo le nevicate di tale portata non sono comuni. È stata una perturbazione improvvisa e difficile da prevedere».

L’allarme per l’“overbooking” delle spedizioni himalayane

Accanto al maltempo, cresce la preoccupazione per un fenomeno già noto agli esperti: l’aumento delle spedizioni commerciali in Himalaya.
Le agenzie locali, spinte dalla concorrenza, avrebbero ridotto costi e servizi di sicurezza, esponendo gli alpinisti a rischi maggiori.
Gli osservatori parlano di una vera e propria “saturazione” delle vette nepalesi, dove il numero di gruppi autorizzati a salire spesso supera la capacità logistica e di soccorso del territorio.

Il dolore delle famiglie e il rientro in Italia

Dall’Italia, le famiglie delle vittime si stanno preparando al viaggio in Nepal per il rimpatrio delle salme.
Martina, sorella di Stefano Farronato, ha raccontato:

«Stefano ha seguito il suo sogno fino alla fine. È morto dove voleva essere, in montagna».

Una frase che racchiude tutta la passione e il rispetto che gli alpinisti italiani nutrivano per quelle vette, oggi teatro di una tragedia che ha commosso l’intera comunità alpinistica internazionale.