Sovranismi a senso unico: così Trump punisce anche l’Italia

I dazi di Trump non riequilibrano nulla: danneggiano le economie di entrambi i continenti e mettono a rischio il sistema produttivo italiano

Il 1° agosto 2025 rischia di essere ricordato come il giorno in cui l’Atlantico si trasformò da ponte commerciale a frontiera economica ostile. Con l’annuncio dell’introduzione di dazi del 30% su tutte le merci europee, Donald Trump ha scelto ancora una volta la via dello scontro, trascinando l’economia globale verso una crisi annunciata. E lo ha fatto con la consueta arroganza unilaterale, mettendo in pericolo non solo i rapporti transatlantici, ma anche la sopravvivenza di migliaia di aziende europee, italiane in primis.

Nel 2024, l’Italia ha esportato negli Stati Uniti beni per 65 miliardi di euro. Settori strategici come agroalimentare, moda e automotive rischiano adesso una perdita secca che potrebbe superare i 35 miliardi. Dietro questi numeri ci sono imprese, lavoratori, famiglie. Ma Trump, nella sua logica mercantilista e isolazionista, considera tutto ciò un danno collaterale accettabile nella battaglia per “riequilibrare il deficit commerciale”, una battaglia che ignora le complesse interdipendenze delle economie moderne.

Va detto con chiarezza: i dazi non riequilibrano, puniscono. E puniscono entrambi i fronti. Anche l’industria americana, che esporta in Europa per oltre 350 miliardi l’anno, pagherà il conto. Ma al presidente Trump non interessa il danno sistemico. Gli interessa solo l’effetto propagandistico interno, in vista di una campagna elettorale permanente costruita sul mito dell’America assediata e pronta a reagire con il bastone.

La risposta dell’Unione Europea, seppur ferma nei toni, finora è apparsa frammentata. Le contromisure sono pronte, ma il vero nodo resta politico: l’unità dell’Europa nel rispondere con una voce sola. In questo contesto, l’Italia appare particolarmente vulnerabile. Nonostante la presidente del Consiglio Giorgia Meloni abbia più volte cercato un canale diretto con l’amministrazione Trump, l’allineamento ideologico non ha prodotto alcun vantaggio negoziale. Anzi, le trattative si sono infrante contro un muro di disinteresse americano. Essere sovranisti non significa essere ascoltati da Washington; al contrario, si rischia di essere trattati come clienti deboli e divisi.

Trump non guarda all’Europa come a un alleato, ma come a un concorrente da ridurre all’impotenza. E chi, come l’Italia, basa gran parte della propria crescita sull’export di qualità, non può permettersi di accettare in silenzio un’aggressione commerciale mascherata da riequilibrio. Difendere l’interesse nazionale oggi significa difendere la cooperazione multilaterale, le regole comuni, la diplomazia economica. Non cedere, ma nemmeno abbaiare a vuoto.

La speranza, ora, è che la diplomazia, quella vera, fatta di interlocuzioni concrete, non di post su social o pacche sulle spalle, riesca a smorzare i toni e trovare una mediazione prima dell’entrata in vigore delle tariffe. L’Europa ha tutto da perdere da una guerra commerciale, ma anche gli Stati Uniti. E questa è l’unica leva reale.

Perché, nel mondo interconnesso del XXI secolo, le guerre commerciali non producono vincitori: lasciano solo macerie economiche su entrambi i lati. E l’Italia, con la forza delle sue imprese e del suo saper fare, non può essere trattata come pedina sacrificabile nei giochi di potere altrui.