
Ciò che è accaduto in un autogrill di Lainate va ben oltre l’ennesimo episodio di inciviltà: è un caso da manuale di stupidità applicata all’ideologia. Un uomo francese di religione ebraica e suo figlio, entrambi colpevoli solo di indossare una kippah, sono stati aggrediti verbalmente, e quasi fisicamente, da un gruppo che, tra urla di “Palestina libera” e “assassini”, ha deciso di farsi giustiziere in una causa che evidentemente non comprende. Non israeliani, non funzionari del governo Netanyahu, nemmeno cittadini dello Stato d’Israele: semplicemente ebrei.
Il punto non è solo l’antisemitismo strisciante, che pure esiste e cresce, ma l’equazione delirante che trasforma un’intera religione in bersaglio perché una parte di un governo, in un Paese lontano, compie atrocità. È la logica perversa per cui un palestinese in Europa viene considerato “pericoloso” perché Hamas lancia razzi, o un russo viene ostracizzato perché Putin invade l’Ucraina. È il corto circuito che nasce quando si smette di pensare e si inizia a reagire in automatico, come se l’identità di una persona potesse essere ridotta a quella di un regime, di un esercito, di un crimine.
La questione non è solo morale, è profondamente politica. Siamo di fronte a una società che ha disimparato a distinguere: tra cittadino e governo, tra individuo e Stato, tra fede religiosa e ideologia. I colpevoli dell’aggressione di Lainate non sono “militanti”, non sono “attivisti”, sono ignoranti. E l’ignoranza, in tempi di guerra, è benzina sul fuoco. Non c’è militanza nell’abbassare lo sguardo a una kippah e urlare “assassino”. C’è soltanto disprezzo travestito da giustizia. C’è odio che si cerca di nobilitare con uno slogan.
La semplificazione del discorso pubblico, fomentata da media, social, politici mediocri, alimenta una confusione pericolosa. Quando ogni guerra viene narrata in bianco e nero, con buoni e cattivi ben identificati, il rischio è che la gente si senta autorizzata a prendere a pugni chi porta un simbolo, chi parla una lingua, chi crede in un dio.
Eppure, c’è una lezione ancora più amara da trarre. In fondo, ciò che è accaduto a Lainate è il riflesso di un mondo più vasto in cui i crimini di guerra diventano licenza per la vendetta cieca, e la memoria storica si dissolve in una bolla di slogan. Se in Italia oggi c’è chi pensa che basti una kippah per giustificare un’aggressione, è perché nessuno ha più insegnato a distinguere tra responsabilità individuale e colpa collettiva. È perché abbiamo normalizzato il linciaggio simbolico e ora ci sorprende che diventi fisico.
L’antisemitismo non ha bisogno di svastiche o proclami nazisti: talvolta basta un gruppo di imbecilli convinti di combattere l’oppressione mentre diventano oppressori a loro volta. L’odio è sempre stupido, ma lo è ancora di più quando crede di essere giusto.
E forse questa è la lezione più urgente: tornare a pensare, distinguere, leggere la complessità. Ovviamente non per giustificare ciò che accade a Gaza o altrove, ma per non smettere di essere umani. Perché quando un bambino assiste all’aggressione di suo padre in autogrill per la sua fede, non siamo più davanti a una protesta: siamo già scivolati nella barbarie.