
C’è chi parla e non viene ascoltato, e poi c’è Roberto Benigni. Con “Il Sogno”, trasmesso in diretta su Rai1 e in Eurovisione, ha incollato davanti allo schermo quasi 4,4 milioni di spettatori di media con punte da oltre 5 milioni conquistando uno share del 28,1%. Numeri da capogiro, da far impallidire qualsiasi politico, e che nessun leader, per quanto quotato, riuscirà mai ad ottenere neanche nei loro comizi più riusciti. Un risultato che va ben oltre la semplice performance televisiva: è il trionfo della parola, della cultura, dell’arte che sa emozionare, informare e far riflettere.
Il sogno europeo come eredità civile
Con la forza di chi ha saputo raccontare Dante e la Costituzione come pochi, Benigni ha dipinto l’Europa come l’ultima trincea della democrazia, un progetto in cui credere, un’emozione da custodire. Si è dichiarato “europeista estremista”, e in un’epoca di disillusione, questa presa di posizione suona come un atto rivoluzionario. Ha fatto rivivere il Manifesto di Ventotene non come un documento polveroso, ma come un atto eroico, scritto tra le rovine della guerra da tre visionari: Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni. Tre uomini che, mentre il mondo cadeva a pezzi, immaginavano l’unione di popoli un tempo nemici.
La politica si divide, Benigni unisce
Mentre le aule parlamentari si lacerano in scontri verbali e risse, Benigni ha unito milioni di italiani con un linguaggio poetico e appassionato. Eppure, non sono mancate le critiche. Alcuni esponenti della maggioranza hanno definito il suo monologo “fazioso”, ma a ben guardare, quella che trapela è una profonda invidia. Perché Benigni non è solo ascoltato: è amato. Perché Benigni non urla: incanta. Perché quando lui racconta l’Europa, anche il cuore più scettico è costretto a battere un po’ più forte.
Una Rai da servizio pubblico vero
In un’epoca in cui la televisione spesso dimentica il suo ruolo culturale, “Il Sogno” è stato un esempio luminoso di servizio pubblico. Ha dato spazio non a una fiction o a un talent, ma a due ore e mezza di pura oratoria civile. E la risposta del pubblico è stata entusiasta. Non solo in ascolti, ma anche nei commenti: da Adriano Celentano a Fabio Fazio, da Paolo Gentiloni a Matteo Renzi, in tanti hanno lodato l’intervento del premio Oscar. E hanno avuto ragione: perché la bellezza delle parole di Benigni ha riportato al centro la speranza.
Ventotene come nuova stella polare
Nel giorno in cui la presidente Meloni ha preso le distanze dal Manifesto di Ventotene, Benigni lo ha esaltato come faro per le nuove generazioni. Ha detto che “ci vogliono divisi perché uniti saremmo la più grande potenza del mondo”. Ha difeso la democrazia, il welfare, la pace come destino ineluttabile. Ha chiesto un esercito europeo non per fare la guerra, ma per non averne più. Ha parlato di fratellanza, di diritti, di umanità. E alla fine, ha lasciato il pubblico con gli occhi lucidi e il cuore pieno.
Benigni, quando la cultura vince sulla politica
Roberto Benigni ha fatto quello che nessun politico riesce più a fare: ha acceso un sogno. Non ha convinto con la propaganda, ma con l’emozione. Non ha diviso con la polemica, ma unito con la visione. E ha dimostrato che, quando la cultura sale in cattedra, il popolo ascolta. Forse, è proprio questo a far paura a chi preferisce l’ignoranza al pensiero.
Benigni ha mostrato che l’Europa non è solo una burocrazia, ma un’idea. E che difenderla con passione non è un atto di parte, ma un dovere civile. Grazie, Roberto, per averci ricordato che il sogno europeo non è morto. È solo in attesa di chi abbia il coraggio di raccontarlo come fai tu.