Sangue all’alba: il killer dell’hotel colpisce ancora e scompare

Un uomo condannato per omicidio lasciato libero di lavorare in hotel: ora un barista è in fin di vita, una donna è scomparsa, e lui è di nuovo latitante. Il sistema ha fallito?

Sangue alba milano

Sabato 10 maggio, all’alba, il silenzio nei pressi della Stazione Centrale di Milano è stato squarciato da urla e sangue. Un barista di 50 anni giace a terra, trafitto da più coltellate, il suo aggressore è già scomparso. Lo scenario è quello dell’Hotel Berna, via Napo Torriani, a pochi passi dal cuore pulsante della città. Un altro caso di violenza? No, molto di più: un uomo che non sarebbe mai dovuto essere lì.

Alba di sangue a Milano: il barista accoltellato lotta per la vita

Il barista, un cittadino egiziano, è stato colpito al collo e alla schiena con una tale violenza che il coltello si è spezzato. Un’aggressione brutale, feroce, quasi rituale. L’arma, ritrovata e sequestrata, testimonia l’intensità del gesto. L’uomo è stato trasportato d’urgenza al Niguarda: sette ore di intervento, sedato, intubato. La prognosi resta riservata. L’aggressione potrebbe essere stata ripresa da telecamere della zona, forse l’unica traccia utile per ricostruire il momento dell’attacco.

L’uomo “reinserito”: chi ha lasciato libero Emanuele De Maria?

Il nome dell’aggressore riporta a un incubo già vissuto: Emanuele De Maria, 35 anni, già condannato per l’omicidio di Oumaima Racheb, uccisa a coltellate in un hotel nel 2016. Sì, proprio un altro hotel. Un uomo definito pericoloso, capace di rendersi irreperibile per due anni prima di essere catturato. Eppure, da due anni, De Maria lavorava come receptionist all’Hotel Berna, autorizzato a uscire dal carcere di Bollate durante il giorno.

Un mostro gentile in giacca e cravatta. Sorridente, persino intervistato da Mediaset nel programma Confessione Reporter, dove parlava della “passione per il lavoro” e di come il carcere di Bollate gli avesse restituito la dignità. Una dignità che oggi stride col sangue lasciato sull’asfalto.

Un altro mistero: scompare una collega

Ma l’orrore non finisce qui. Nelle stesse ore, un’altra dipendente dell’hotel, Chamila Wijesuriyauna, cittadina italiana originaria dello Sri Lanka, scompare nel nulla. Il marito e il figlio non riescono più a contattarla da venerdì. Il cellulare spento, nessuna presenza al lavoro, né in palestra dove diceva di andare. Nessun segno di lei.

C’è un legame tra la scomparsa e l’aggressione? Per ora nessuna prova, ma il sospetto è pesante. Anche Chamila lavorava nello stesso albergo, a stretto contatto con la vittima e con De Maria. Le indagini, affidate sia alla squadra mobile che ai carabinieri, cercano di districare una trama inquietante, forse più ampia di quanto sembri.

Una fuga annunciata

Dopo l’aggressione, De Maria ha fatto perdere ogni traccia. Ancora una volta. Si teme che abbia già lasciato Milano, magari a bordo di un treno. La Polfer è stata allertata, ma lo spettro della recidiva e della latitanza è concreto. Come nel 2016, quando scomparve dopo aver ucciso. E allora, la domanda sorge spontanea e necessaria: chi ha permesso che quest’uomo fosse libero di lavorare tra civili, turisti, famiglie?

Il sistema che non ha protetto

Dietro questo caso si nasconde un fallimento. Quello di un sistema penitenziario che, nel nobile intento del reinserimento, ha affidato la libertà a un uomo pericoloso. Un assassino già noto per la sua capacità di eludere la giustizia. Una fiducia mal riposta, un controllo mancato, e oggi un uomo rischia la vita mentre un’altra è scomparsa.

Il reinserimento è un valore. Ma quando diventa incoscienza, può trasformarsi in complicità.