Robert Redford se n’è andato a 89 anni, nella sua casa tra le montagne dello Utah, circondato dai suoi cari. Attore magnetico, regista premiato, attivista e fondatore del Sundance Film Festival, Redford lascia dietro di sé un’eredità che travalica i confini del cinema. La sua carriera, lunga più di sei decenni, racconta non solo la storia di un attore di straordinario fascino, ma quella di un uomo che ha saputo trasformare il proprio carisma in impegno culturale e civile.
Robert Redford nasce a Santa Monica nel 1936
Nato a Santa Monica nel 1936, Redford non ebbe un percorso scolastico brillante. Preferì le arti e lo sport, e dopo un periodo in Europa approdò a New York, dove studiò recitazione e debuttò a Broadway. Il suo talento esplose negli anni Sessanta, fino al ruolo che lo consacrò al mito: Sundance Kid, al fianco di Paul Newman, in Butch Cassidy and the Sundance Kid (1969). Da lì, una stagione irripetibile di successi, La stangata, Come eravamo, I tre giorni del Condor, Il grande Gatsby, che lo resero uno dei volti più amati del cinema americano.
Redford non fu solo divo, ma anche coscienza politica. Nel 1976 diede vita a Tutti gli uomini del presidente, il film sul Watergate che rivelò il suo senso di responsabilità civile e la volontà di raccontare l’America reale, anche nelle sue ombre. Negli anni Ottanta, con Ordinary People, il suo debutto alla regia, vinse l’Oscar. Non si trattava di un colpo di fortuna, ma della conferma di un talento capace di unire sensibilità artistica e sguardo critico.
Il Sundance Institute
Parallelamente, Redford costruì un lascito che forse è persino più grande dei suoi film: il Sundance Institute e il festival omonimo, fondato nel 1981. Il suo obiettivo era semplice ma rivoluzionario: dare spazio a voci nuove, a storie che Hollywood non voleva o non sapeva raccontare. Il Sundance divenne la culla del cinema indipendente americano, lanciando registi come Quentin Tarantino, Steven Soderbergh e Paul Thomas Anderson. Redford comprese che il cinema, per restare vivo, doveva nutrirsi di autenticità, rischi e nuove prospettive.
Il suo impegno andò oltre lo schermo. Ambientalista convinto, sostenitore dei diritti civili e della democrazia, Redford incarnò l’idea di un artista che non separa mai arte e responsabilità sociale. Non a caso, nel 2016 Barack Obama gli conferì la Medaglia presidenziale della libertà, definendolo “un uomo che gli americani ammirano non solo per il suo straordinario talento, ma per aver capito cosa fare dopo”.
La sua grazia e ironia
Negli ultimi anni, Redford ha continuato a sorprendere. In All Is Lost (2013) interpretò un uomo solo in lotta per la sopravvivenza in mare, senza quasi dialoghi, dimostrando una volta ancora la sua capacità di reggere da solo l’intero peso di un film. Con The Old Man & the Gun (2018), la storia di un rapinatore gentiluomo, scelse di congedarsi dal grande schermo con grazia e ironia.
La sua vita non fu priva di dolori: la perdita di due figli segnò profondamente il suo cammino. Ma Redford seppe trasformare anche la tragedia in una forza silenziosa, che lo accompagnò fino alla fine.
Il cinema americano perde un gentiluomo
Oggi il cinema americano perde un attore che ha incarnato l’eroe romantico e tormentato, ma anche un regista che ha saputo scavare nelle fragilità umane, e un mecenate che ha reso possibile il sogno di tanti artisti. Robert Redford non era solo un volto perfetto per l’epoca d’oro di Hollywood: era un costruttore di futuro, un uomo che ha dato al cinema nuove strade da percorrere.
Il vento che gli muoveva i capelli nei film degli anni Settanta non si è mai fermato davvero. Continua a soffiare attraverso le immagini, i festival, le voci che ha liberato. Redford appartiene ormai al paesaggio della memoria collettiva, un orizzonte di cinema e di libertà che non smetterà di ispirare.
