Rivincita dei vitalizi: ex parlamentari in pressing per riottenerlo

Dopo anni di battaglie legali, la decisione è attesa a giorni: centinaia di ex deputati vogliono indietro il vitalizio come prima del taglio imposto dal Movimento 5 Stelle. In gioco ci sono miliardi di euro e il principio della legittima aspettativa.

vitalizi ex parlamentari

Era il 2018 quando una delle riforme simbolo del Movimento 5 Stelle ridisegnò il sistema dei vitalizi parlamentari, trasformandoli da rendite fisse a pensioni calcolate in base ai contributi effettivamente versati. Una misura che incontrò il favore dell’opinione pubblica, ma che accese un contenzioso durato anni. Oggi quella battaglia legale è arrivata a un punto decisivo: a breve, il collegio d’Appello della Camera metterà la parola fine – o forse un nuovo inizio – a questa vicenda.

Chi sono i ricorrenti dei vitalizi

In principio furono oltre 1.300. Oggi, tra rinunce, defezioni e purtroppo decessi, i ricorrenti attivi sono circa la metà. Lo precisa l’Associazione degli ex parlamentari, che rivendica con forza la legittimità della loro richiesta: il ripristino del vitalizio secondo le regole precedenti al 2018. Tra i nomi più noti coinvolti nel ricorso troviamo figure storiche della politica italiana come Paolo Guzzanti, Claudio Scajola, Fabrizio Cicchitto, Claudio Martelli, Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino.

Il giudizio di Montecitorio: un verdetto cruciale

Il 2 luglio si è tenuta la prima udienza davanti al collegio d’Appello della Camera, un organismo composto da cinque deputati con funzioni giurisdizionali, non politiche. Giovedì è prevista la camera di consiglio, mentre il verdetto finale potrebbe arrivare già nella prossima settimana. In caso di accoglimento del ricorso, lo Stato – attraverso il Ministero dell’Economia – potrebbe essere chiamato a ricalcolare e rimborsare gli assegni tagliati, con un impatto economico potenzialmente miliardario.

Vitalizi: le ragioni degli ex parlamentari

Gli ex deputati non ci stanno a essere trattati come “privilegiati pentiti”. Ritengono che i tagli del 2018 abbiano violato un principio giuridico fondamentale: quello della legittima aspettativa. Secondo la loro tesi, i vitalizi già maturati rappresentano diritti acquisiti e non possono essere modificati retroattivamente senza violare la Costituzione. L’Associazione degli ex parlamentari parla esplicitamente di “trattamento discriminatorio”, sottolineando come il Senato abbia invece scelto una strada più garantista rispetto alla Camera.

Paniz: “Non è un privilegio, ma un diritto”

A farsi portavoce del fronte legale è l’avvocato Maurizio Paniz, ex parlamentare ed esperto in diritto previdenziale. “Il vitalizio non è un regalo – spiega – ma un trattamento pensionistico fondato su anni di contribuzione. Chi ha dedicato decenni alla politica ha diritto a una pensione adeguata e proporzionata al servizio prestato”. Paniz ha patrocinato oltre 650 ricorsi e si dice fiducioso che anche questa volta il principio della legittimità venga riconosciuto, come già avvenuto per i senatori.

Cos’era (e cos’è diventato) i vitalizi parlamentari

Per decenni, il vitalizio parlamentare è stato un simbolo – per molti un emblema del privilegio – della classe politica italiana. Bastava completare una legislatura per accedere a una rendita mensile a vita, che poteva scattare già a 60 anni (o anche a 50 in caso di più legislature). Nulla di paragonabile alla pensione ordinaria di un comune cittadino, che richiede decenni di contributi e un’età pensionabile sempre più alta.

Nel 2012 la riforma Fornero abolì i vitalizi per i nuovi eletti, introducendo il sistema contributivo anche per i parlamentari. Ma fu solo nel 2018 che si intervenne anche sui vitalizi già in essere, ricalcolandoli secondo il nuovo sistema. Le conseguenze furono immediate: assegni ridotti drasticamente per centinaia di ex deputati e senatori.

Le accuse di disparità e le sentenze precedenti

La contestazione più forte da parte degli ex parlamentari riguarda proprio l’unilateralità della modifica. Molti ricorsi si basano sul fatto che nessuna norma può modificare retroattivamente un diritto acquisito, se non nei limiti stabiliti dalla Corte Costituzionale. Alcuni tribunali amministrativi e organi interni – come il Consiglio di giurisdizione della Camera – hanno già annullato i tagli in singoli casi, creando un precedente che ora potrebbe diventare norma.

Cosa ne pensa l’opinione pubblica?

Fuori da Montecitorio, però, il sentimento è ben diverso. Gran parte dell’opinione pubblica vede ancora il vitalizio come un privilegio anacronistico e ingiustificabile, soprattutto in un Paese in cui milioni di cittadini devono lavorare oltre i 65 anni per ottenere una pensione spesso misera. I sacrifici imposti dalla crisi economica hanno reso intollerabile qualsiasi forma di trattamento speciale riservato alla “casta”.

Uno scontro tra principi: legalità contro equità

Quello che si profila non è solo uno scontro tecnico-giuridico, ma un conflitto tra due visioni di giustizia: da un lato il principio della certezza del diritto e della non retroattività delle norme, dall’altro la richiesta – forte e diffusa – di equità e uguaglianza tra cittadini. Qualunque sia il verdetto finale, sarà destinato a far discutere a lungo.

La sentenza attesa nelle prossime settimane non riguarderà solo una questione previdenziale. Si tratta di un test cruciale per la credibilità delle istituzioni, per l’equilibrio tra i poteri dello Stato e per la tenuta del principio di uguaglianza di fronte alla legge. In gioco non c’è solo un assegno mensile, ma il modo in cui l’Italia vuole scrivere il proprio futuro, partendo dal passato.