
In una Milano carica di spiritualità e partecipazione, Richard Gere ha presenziato alla proiezione speciale de La saggezza della felicità presso il cinema Anteo. L’attore, visibilmente emozionato, ha presentato il documentario – di cui è produttore esecutivo. Una proiezione che vuole essere un invito alla riflessione sui valori della pace, della compassione e della ricerca interiore, incarnati dal Dalai Lama. L’evento ha chiuso ufficialmente le celebrazioni italiane del Vesak 2025, organizzate dall’Unione Buddhista Italiana (UBI).
Accanto a Richard Gere, la presenza significativa di Jetsun Pema, sorella del Dalai Lama ed ex presidente dei Tibetan Children’s Villages, ha dato ulteriore solennità alla serata.
Che cos’è il Vesak e perché si celebra a Milano
Il Vesak è una ricorrenza fondamentale per il mondo buddhista: commemora la nascita, l’illuminazione e la morte del Buddha. Ogni anno, la festività è occasione di meditazione e consapevolezza, ma anche di celebrazione dei valori universali del Dharma. Quest’anno, il Vesak ha avuto un significato speciale, segnando i 40 anni dalla fondazione dell’Unione Buddhista Italiana, nata proprio a Milano nel 1985.
Secondo Filippo Scianna, presidente di UBI, celebrare il Vesak nel capoluogo lombardo rappresenta un ritorno alle origini e un’opportunità per offrire strumenti spirituali e culturali a una città in continua trasformazione.
Gere contro Trump: “Un leader con scarsa intelligenza emotiva”
Durante il suo intervento, Richard Gere non ha evitato di affrontare temi controversi. Rivolgendosi al pubblico, ha espresso una dura critica verso l’ex presidente americano Donald Trump, definendolo “un leader con un basso livello di intelligenza emotiva – e questo è dire poco”. Non è la prima volta che Gere prende posizione contro Trump: già in passato aveva usato termini forti come “bullo” e “delinquente” per descriverlo, criticando il suo stile divisivo e aggressivo.
Solidarietà a Gaza: l’appello di Gere dal palco
Oltre alla politica americana, Gere ha puntato i riflettori sulla crisi umanitaria in Medio Oriente. “Un applauso per Gaza”, ha chiesto all’audience milanese, sottolineando il dolore e le difficoltà vissute dalla popolazione palestinese. Un gesto simbolico, ma carico di significato, che ha rotto il silenzio su un conflitto che spesso resta lontano dalla sensibilità occidentale.
Questo richiamo pubblico si inserisce in una linea coerente di attivismo. Pochi giorni prima dell’evento milanese, Gere ha infatti firmato – insieme a colleghi come Susan Sarandon – una lettera aperta in cui si condanna apertamente l’intervento militare israeliano nella Striscia di Gaza, definendolo senza mezzi termini un “genocidio”.
Le reazioni: tra applausi convinti e polemiche accese
L’intervento di Gere ha suscitato reazioni contrastanti. Molti presenti hanno apprezzato la sua schiettezza e il coraggio di prendere posizione su temi così delicati. Altri, invece, hanno criticato l’unilateralità delle sue parole, accusandolo di trascurare le complesse esigenze di sicurezza di Israele.
Sui social media il dibattito si è acceso rapidamente: mentre alcuni lo celebrano come una voce libera e umanitaria, altri lo accusano di semplificare eccessivamente situazioni geopolitiche intricate. Gli hashtag legati all’iniziativa si sono moltiplicati, generando una polarizzazione che riflette la complessità del conflitto mediorientale.
L’effetto Gere: quando le star accendono il dibattito pubblico
Non è la prima volta che una celebrità interviene con forza su temi sociali e politici. Ma la presenza di Gere a Milano ha avuto un’eco particolare, anche grazie alla concomitanza con il Vesak e con l’anteprima di un film dedicato alla figura ispiratrice del Dalai Lama.
Il suo intervento mostra chiaramente come le figure pubbliche possano agire da amplificatori per cause urgenti, spingendo l’opinione pubblica ad affrontare temi spesso ignorati. Tuttavia, questo stesso ruolo comporta responsabilità: molti si interrogano sul confine tra attivismo culturale e posizionamento ideologico.
Tra spiritualità, politica e coscienza globale
Richard Gere ha scelto Milano non solo per presentare un documentario, ma per lanciare un messaggio. Un messaggio che intreccia spiritualità buddhista e impegno civile, denuncia politica e compassione per le vittime dei conflitti.
Il suo appello per Gaza, così come la condanna verso Trump, mostrano un volto dell’attore lontano dai riflettori hollywoodiani, vicino invece alle sfide globali del nostro tempo. E confermano come, oggi più che mai, cultura e politica non siano mondi separati, ma dimensioni che si intrecciano nel tessuto della comunicazione pubblica.