
Il voto non è solo un diritto. È un gesto di appartenenza, un atto di responsabilità. E ogni volta che il popolo viene chiamato a esprimersi attraverso un referendum, non decide soltanto un “sì” o un “no”, ma sceglie che tipo di società vuole costruire.
L’8 e 9 giugno 2025, gli italiani saranno chiamati alle urne per decidere su cinque quesiti che riguardano il mondo del lavoro e la cittadinanza. Ma prima ancora del merito, c’è una domanda più profonda: quanto conta davvero il nostro voto in una democrazia?
Il referendum nella storia italiana: quando il popolo decide sui diritti
Dal referendum istituzionale del 1946, che segnò la nascita della Repubblica, la storia italiana è scandita da momenti in cui il popolo ha potuto esprimersi direttamente su scelte fondamentali. Tra questi, i referendum sul divorzio (1974) e sull’aborto (1981)rappresentano due passaggi cruciali, che hanno inciso profondamente sulla società, toccando i diritti civili e le libertà individuali.
Nel 1974, gli italiani scelsero di mantenere la legge sul divorzio, riconoscendo il diritto di porre fine a un matrimonio non più voluto. Fu una scelta di libertà e responsabilità: il riconoscimento che la convivenza non può essere imposta, e che ogni persona ha il diritto di decidere con chi condividere – o non condividere più – la propria vita. Una decisione che sancì la centralità dell’autonomia individuale in una Repubblica fondata sulla dignità della persona.
Nel 1981, toccò alla legge sull’interruzione volontaria di gravidanza. Anche in quel caso, il popolo confermò la volontà di tutelare il diritto delle donne all’autodeterminazione, alla salute e alla dignità. La possibilità di decidere del proprio corpo divenne non solo una questione giuridica, ma una profonda affermazione di eguaglianza e giustizia sociale.
In entrambi i casi, il referendum non fu solo una consultazione su norme legislative, ma una presa di posizione collettiva su modelli di convivenza, sui valori fondanti di una società democratica, e sulla volontà di costruire un’Italia che riconosca, garantisca e difenda i diritti delle persone.
I referendum 2025: lavoro, tutele, cittadinanza
Anche oggi siamo davanti a un bivio.
I cinque quesiti su cui saremo chiamati a esprimerci l’8 e 9 giugno 2025 affrontano temi fondamentali della convivenza democratica, ponendo al centro la vita concreta delle persone. Si parla della protezione dei lavoratori dal licenziamento illegittimo, della riduzione della precarietà attraverso limiti più stringenti ai contratti a termine, e della tutela dei diritti dei lavoratori coinvolti in appalti, responsabilizzando le aziende committenti. Infine, viene proposta la riduzione del tempo necessario per ottenere la cittadinanza italiana, portandolo da dieci a cinque anni per chi risiede stabilmente e contribuisce alla società.
Non si tratta di tecnicismi giuridici o questioni riservate agli esperti: al centro ci sono diritti reali, che parlano di dignità, lavoro, inclusione e giustizia. Ancora una volta, siamo chiamati a esprimere non solo un’opinione, ma una visione di società.
Oltre il sì e il no: la democrazia come partecipazione
I referendum non quiz giuridici. Sono occasioni collettive per confrontarsi su chi siamo e chi vogliamo essere.
Partecipare non significa solo scegliere. Significa non delegare, non restare spettatori. Ogni voto, anche disilluso o critico, è un segnale di presenza. L’astensione, invece, lascia il campo vuoto.
Non c’è bisogno di essere giuristi per votare. Basta sentirsi parte di una comunità, riconoscere il valore della propria voce.
Costruire la democrazia ogni giorno
La democrazia non è mai garantita una volta per tutte. Va esercitata, alimentata, difesa.
I referendum sono uno dei pochi momenti in cui il potere torna direttamente al popolo, senza intermediazioni.
E allora l’8 e 9 giugno non si vota solo su cinque quesiti. Si vota sulla fiducia che abbiamo in noi stessi come cittadini. Sul desiderio di essere protagonisti, non spettatori.
Qualunque sia la scelta, la democrazia ha bisogno della nostra partecipazione.