Referendum: il diritto di scegliere, il dovere di esserci

Ogni morte sul lavoro è una ferita alla Repubblica. Il referendum restituisce responsabilità a chi l’ha negata

Referendum

L’8 e 9 giugno gli italiani sono chiamati a esprimersi su cinque referendum che riguardano la disciplina del lavoro e la cittadinanza. È un appuntamento decisivo non solo per i contenuti dei quesiti, ma per ciò che rappresenta: un banco di prova per la nostra democrazia e per il senso civico del Paese.

Andare a votare non è solo un diritto. È, oggi più che mai, un dovere. Perché mentre il governo in carica, in modo preoccupante e inedito in una democrazia, invita all’astensione, rinunciando a ogni confronto di merito, i cittadini hanno la possibilità di esercitare un potere fondamentale: scegliere. Disertare le urne, in questo contesto, significa consegnare le sorti della Repubblica all’inerzia e all’indifferenza, le prime alleate del degrado democratico.

Tra i cinque quesiti, uno in particolare merita un’attenzione speciale: il quarto referendum, che propone l’abrogazione della clausola che esclude la responsabilità solidale delle imprese appaltanti in caso di infortuni derivanti da rischi specifici delle ditte appaltatrici o subappaltatrici. È un tecnicismo giuridico, certo. Ma dietro quella formula si gioca una questione di giustizia elementare: chi lavora ha diritto a sicurezza, e chi beneficia del lavoro altrui deve rispondere se quel lavoro si trasforma in tragedia.

In Italia si continua a morire sul lavoro ogni giorno. È un dramma che si consuma in silenzio, nell’indifferenza dei bollettini e nell’assuefazione collettiva. Ma ogni incidente non è solo una fatalità: è spesso il risultato di filiere opache, di controlli mancati, di regole eluse. È il volto più crudele di un sistema che protegge il profitto più della persona.

Oggi, la legge consente alle imprese committenti di scrollarsi di dosso ogni responsabilità per incidenti “specifici” dell’attività dell’appaltatore. Il risultato è che le famiglie delle vittime, spesso, non ottengono né giustizia né risarcimenti, mentre le aziende coinvolte restano indenni. Il referendum mira a cancellare questa vergogna giuridica, restituendo una responsabilità condivisa lungo tutta la catena produttiva.

Non si tratta di ostilità verso le imprese, ma di equità. Chi trae vantaggio dal lavoro deve anche assumersi l’onere della tutela. Dire sì al quarto quesito significa dire sì a una Repubblica che onora il lavoro come fondamento della propria esistenza, come recita l’articolo 1 della nostra Costituzione.

Ecco perché votare è un dovere. Perché la democrazia non è fatta solo di parole, ma di atti concreti. E il voto è il più alto di questi atti. In un tempo segnato dal cinismo e dalla delegittimazione delle istituzioni, partecipare significa resistere. Vuol dire affermare che il popolo ha ancora il diritto e la volontà di decidere.

L’8 e 9 giugno non possiamo mancare all’appello. Per rispetto di chi lavora, per chi ha perso la vita per una paga precaria, per chi non ha voce nei palazzi del potere. Votare è un atto di giustizia, di responsabilità e di speranza. Facciamolo, con sobrietà e determinazione. Perché il futuro non si attende, si costruisce.