Quel Vittorio Emanuele oltraggiato dalla bandiera palestinese

Fra le tante brutture di questo ultimo 25 Aprile – il più violento che io ricordi – ve ne è una in particolare che merita di essere notata, non perché peggiore delle altre, ma solo perché più emblematica. Fin dalle prime ore del pomeriggio di quell’orribile giovedì, in piazza Duomo a Milano, la grande statua equestre di Vittorio Emanuele II è stata avvolta, letteralmente “fasciata”, da un’immensa bandiera palestinese. C’è qualcosa di simbolico, in questo gesto, che forse sfugge persino ai suoi stessi autori.

Vittorio Emanuele II è stato il primo re d’Italia. Sotto il suo regno, dopo secoli e secoli di divisione, il nostro paese ritrovava la sua unità. L’Italia laica e liberale metteva fine al potere temporale della Chiesa ed entrava nella modernità. Era il nostro Risorgimento.

La bandiera palestinese su quella statua, in occasione della festa nazionale per la Liberazione dal nazifascismo, ha rappresentato un’offesa e uno sfregio. Una festa “nazionale” (ripetiamolo!) in cui non vi erano quasi bandiere italiane, ma solo centinaia di bandiere palestinesi, più qualche bandiera rossa e di partito.

Che cosa simboleggia, anche visivamente, questa immagine, se non la dichiarata intenzione, da parte di arabo-musulmani e fiancheggiatori, di marcare in qualche modo il loro “territorio”? Come a dire: non ci importa nulla delle vostre celebrazioni, delle regoline dell’ANPI, dei vostri simboli e valori, non crediamo alla vostra libertà né alla vostra democrazia. Piazza Duomo è nostra, sulla statua del vostro antico Re sventola la bandiera della Palestina. Cosa ne sanno, costoro, delle radici storiche e culturali che legano il Risorgimento alla Resistenza? Cosa importa, a costoro, della istituzioni repubblicane, dei discorsi delle autorità, della storia stessa della resistenza al nazifascismo? Le organizzazioni palestinesi hanno lanciato l’appello a occupare in anticipo piazza Duomo, invito prontamente raccolto da migliaia di arabi ed estremisti di ogni risma, rendendo di fatto il principale teatro della manifestazione inagibile e anzi pericoloso.

Non erano affatto “due o trecento”, come ha scritto qualcuno, ma molti di più.E’ stato in questo contesto, che i facinorosi hanno potuto tentare di scavalcare le transenne, lanciare invettive cariche di odio, cercare di occupare il palco, mentre in un altro lato della piazza un gruppo di teppisti aggrediva con violenza la Brigata Ebraica. Il fatto che questi giovinastri fossero o non fossero coordinati con gli organizzatori dell’occupazione è del tutto irrilevante. La piazza è risultata sostanzialmente preclusa alle forze democratiche, e solo la pronta decisione di ammainare le bandiere con la Stella di Davide è servita a evitare guai peggiori.

Questi i fatti. Le conclusioni da trarne sono molto amare.Innanzitutto, occorre prendere atto che gli organizzatori dell’ANPI e affini non sono più in grado di garantire lo svolgimento pacifico delle manifestazioni. Neppure l’ipocrita slogan “Cessate il fuoco ovunque”, per quanto utile alla causa palestinese, è servito ad assicurare alla sinistra “vecchia” l’egemonia sulle celebrazioni. Non si tratta più dunque del consueto tentativo di strumentalizzare l’antifascismo, ad opera dei soliti noti: siamo di fronte a uno scenario radicalmente diverso e assai più pericoloso.

L’occupazione delle piazze da parte della componente estremista palestinese ci obbliga a nuovi interrogativi. Ha ancora senso celebrare la Festa della Liberazione in modo “unitario”, quando le manifestazioni sono contrassegnate – oltre che da slogan falsi e mistificatori – da tensioni, incidenti, odio e violenza? E’ giusto che le forze democratiche – a Milano, a Roma, ovunque – prendano ancora parte ai cortei, insieme a coloro che della democrazia e della Repubblica disconoscono i valori fondanti? Queste sono le domande cui tutti gli autentici liberali sono chiamati a rispondere, con coraggio e determinazione.

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