
Ma cos’è che non vi entra in testa? Si può analizzare quanto si vuole, si possono scomodare esperti, analisti, politologi di ogni latitudine, ma la realtà resta immutabile come la pietra: la parola di Vladimir Putin non cambia. Correva l’anno 2022 quando Putin dichiarò senza mezzi termini che avrebbe invaso l’Ucraina. Non era solo un bluff, né una manovra diplomatica. Era un programma d’azione: tenersi la Crimea, impedire a ogni costo l’ingresso dell’Ucraina nella NATO e, all’occorrenza, annettere anche i territori conquistati. Oggi, mentre il mondo osserva e dibatte, Putin annuncia addirittura la “liberazione” della regione di Kursk, dichiarando che “l’invasione ucraina è completamente fallita”. Peccato che Kiev abbia immediatamente smentito: i combattimenti nella regione sono ancora in corso, come riportato dall’AGI.
Quindi, i proclami di Trump riguardano la pace o la scacchiera politica? Di fatto, sul fronte americano, la scena si è spostata su immagini destinate a entrare nei libri di storia: Donald Trump e Vladimir Zelenskij, fianco a fianco, nella Basilica di San Pietro a Roma, durante i solenni funerali di Papa Francesco. Un incontro breve ma denso di significati, come hanno sottolineato in molti: quindici minuti che la Casa Bianca ha definito “molto produttivi”, con colloqui concentrati su un possibile cessate il fuoco, secondo quanto riferito da Reuters. Ma ecco che, subito dopo, il presidente americano ha gelato gli entusiasmi: “Non sono sicuro che Putin voglia davvero fermare la guerra o mi stia prendendo in giro”, ha scritto Trump sulla sua piattaforma Truth.
E mentre da una parte Trump manifesta dubbi sulla reale volontà di Putin di fermare la guerra, dall’altra l’amministrazione americana avanza una proposta di pace che pesa come un macigno su Kiev. Stando a quanto riportato dall’Associated Press, il piano prevede il riconoscimento ufficiale della sovranità russa sulla Crimea e su altri territori occupati, l’impegno dell’Ucraina a non aderire alla NATO e l’adozione di uno status di neutralità armata. Secondo AP, i funzionari ucraini sono rimasti a dir poco “scioccati” da tali condizioni, evidenziando come il riconoscimento formale della Crimea richiederebbe una modifica costituzionale e un referendum nazionale, passaggi praticamente irrealizzabili in un contesto bellico.
Una posizione ribadita con fermezza dallo stesso presidente Zelenskij, che ha dichiarato ai media: “La cessione formale della Crimea richiederebbe una modifica costituzionale e un referendum. In guerra, è impossibile”. Parole che blindano la resistenza ucraina contro ogni forma di resa diplomatica forzata.
Nel caos della diplomazia, l’Unione Europea cerca di tenere alta la bandiera della solidarietà a Kiev, mantenendo una posizione ferma nei confronti della Russia. Alle sanzioni economiche combina: riduzione della dipendenza energetica, richieste di inclusione nelle trattative internazionali e rafforzamento delle proprie capacità difensive. Queste azioni mirano a sostenere l’Ucraina e a garantire la sicurezza e la stabilità del continente europeo di fronte alle continue minacce russe.
In questo scenario teso, assume un peso enorme l’annuncio diffuso da Interfax: Vladimir Putin e Aleksandr Lukašenko si incontreranno nei prossimi giorni. Non si tratta di un semplice meeting diplomatico: i due leader discuteranno del rafforzamento della partnership bilaterale e dell’integrazione nello ‘Stato dell’Unione’, un progetto nato nel 1999 per creare un’unione politica ed economica stretta tra Russia e Bielorussia, con politiche comuni su difesa, esteri, economia e, in prospettiva, anche una moneta unica. Negli ultimi anni, soprattutto dopo le proteste bielorusse del 2020, Putin ha accelerato questa integrazione, approfittando della fragilità politica di Lukašenko. Oggi, più che mai, la Bielorussia si sta trasformando in una piattaforma avanzata per la strategia militare russa, riducendo progressivamente la propria autonomia e aumentando il rischio di un’escalation regionale.
La guerra in Ucraina, il balletto diplomatico, le strette di mano e i proclami di pace si intrecciano su uno scacchiere sempre più fragile, dove a pagare il prezzo più alto sono i pezzi più vulnerabili: i civili, i soldati, la verità stessa. Mentre i negoziati si moltiplicano e le promesse si svuotano, le posizioni restano immutabili. Putin non arretra, rilancia la “liberazione” di Kursk e si prepara a stringere ancora di più il patto con Lukašenko. Trump, da Roma, si muove sulla scacchiera globale, alternando gesti di pace a manovre economiche tese a rafforzare l’America, anche a discapito degli equilibri internazionali. Zelenskij, stretto tra missili e pressioni diplomatiche, continua a resistere, mentre l’Europa, pur ribadendo il suo sostegno a Kiev, teme ogni giorno di più di essere marginalizzata.