
Emanuele Michieletti, 60 anni, direttore e primario del reparto di radiologia dell’ospedale principale di Piacenza, è stato arrestato con accuse gravissime: violenza sessuale e stalking. L’indagine ha svelato un quadro inquietante, dove il suo ufficio diventava il teatro di abusi quotidiani, commessi approfittando della sua posizione apicale.
Secondo quanto riportato dalla questura, il primario avrebbe molestato sistematicamente le donne che entravano sole nel suo studio. In molti casi, si trattava di rapporti non consensuali, inseriti in un contesto di minacce, intimidazioni e manipolazione psicologica. Il tutto documentato in appena 45 giorni di intercettazioni e video.
Il primario di Piacenza: una rete di silenzi costruita con il potere
Il vero orrore non sta solo negli atti, ma nel contesto in cui si sono verificati: un clima di paura, soggezione e omertà. La figura del primario di Piacenza, Michieletti, stimata e potente, esercitava un controllo non solo sulle vittime, ma sull’intero ambiente lavorativo, rendendo difficile anche solo pensare a una denuncia.
Le donne coinvolte temevano ritorsioni professionali e personali. Era chiaro che opporsi significava rischiare la propria carriera, la serenità familiare, forse perfino la propria salute mentale. Una spirale che imprigionava il silenzio dietro i camici bianchi.
Dalla denuncia al crollo dell’impunità
L’indagine è nata da una denuncia coraggiosa: una dottoressa ha raccontato di essere stata aggredita sessualmente nel tentativo di parlare con Michieletti del piano ferie. Da lì è partita una complessa attività investigativa, supportata anche dalla direzione sanitaria, che ha portato a raccogliere decine di elementi di prova. Anche una seconda donna aveva sporto denuncia, poi ritirata per ragioni ancora da chiarire.
Le registrazioni ambientali nello studio hanno rivelato un comportamento seriale: atti sessuali avvenivano durante l’orario di lavoro, in pieno ospedale, spesso interrotti solo da colleghi che bussavano alla porta. Alcune donne cercavano di resistere; altre, pur consenzienti, si trovavano coinvolte in dinamiche di compensazione o protezione.
Quando il sistema protegge il carnefice
La storia di Michieletti evidenzia un problema più ampio: non solo l’abuso di potere individuale, ma la capacità di un intero sistema di chiudere gli occhi. Una “cultura dell’impunità” che si costruisce negli ambienti verticali, dove chi sta in cima può controllare e manipolare chi sta sotto.
Non si tratta solo di un medico deviato, ma di un’intera struttura incapace di vedere o pronta a voltarsi dall’altra parte. Il fatto che l’inchiesta abbia prodotto prove così numerose in poche settimane dimostra quanto fosse diffuso il fenomeno, e quanto a lungo sia stato ignorato.
La ferita delle donne e il dovere della giustizia
Nel frattempo, il giudice ha disposto gli arresti domiciliari per Michieletti e il sequestro di tutti i suoi dispositivi elettronici. Lui non ha rilasciato alcuna dichiarazione, nemmeno tramite il suo avvocato. Lo studio è stato sigillato. Ma la ferita per le donne che hanno subito le sue violenze resterà ancora a lungo.
Questo caso non è solo una notizia di cronaca nera. È un promemoria urgente per tutti gli ambienti di lavoro: la tolleranza verso comportamenti abusanti, il silenzio e la protezione dei potenti sono i veri complici di ogni forma di violenza. Rompere questo schema è un dovere sociale, oltre che legale.