Ponte sullo Stretto: ambizione miliardaria in una terra di cantieri incompiuti

Costi in aumento, criticità tecniche e una regione ancora priva delle basi infrastrutturali: il nodo irrisolto della Sicilia intorno al Ponte sullo Stretto.

Mentre il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina si prepara a riemergere con una stima di spesa aggiornata a 13,5 miliardi di euro, si riaccende il dibattito pubblico sull’opportunità e la sostenibilità dell’opera. Un’opera simbolica, certo, ma anche altamente problematica: dal punto di vista tecnico, ambientale e, soprattutto, infrastrutturale. Perché a pochi chilometri dal luogo dove dovrebbe sorgere il ponte sospeso più lungo del mondo, giace una Sicilia attraversata da cantieri infiniti, strade colabrodo e ospedali sotto organico. L’isola si conferma fanalino di coda d’Italia e d’Europa in quanto a capacità di completare le opere pubbliche nei tempi previsti.

Costi e finanziamenti: la lunga corsa del Ponte sullo Stretto

Il Ponte sullo Stretto di Messina è tornato al centro del dibattito nazionale come simbolo di modernizzazione e rilancio del Mezzogiorno. L’opera, che prevede una campata sospesa di 3,3 chilometri – la più lunga al mondo – è oggi stimata in 13,5 miliardi di euro, secondo gli ultimi aggiornamenti ufficiali. Una cifra triplicata rispetto al progetto originario del 2005, che solleva interrogativi non solo sulla sua sostenibilità finanziaria, ma anche sulla reale capacità dell’Italia, e della Sicilia in particolare, di portare a termine un’infrastruttura di questa complessità.

A raffreddare gli entusiasmi non sono soltanto le decine di rilievi tecnici sollevati dal Comitato Scientifico, che spaziano dalla sismicità dell’area all’impatto ambientale, bensì anche i dati che fotografano impietosamente la condizione infrastrutturale dell’isola. Inoltre, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha sollevato dubbi sull’affidamento diretto del progetto e sul rispetto dei vincoli di spesa europei.

Cantieri in Sicilia: numerosi, lenti, incompleti

La Sicilia è una delle regioni italiane con la più bassa capacità di attuazione delle opere pubbliche. Uno studio condotto da SVIMEZ e pubblicato sulla Rivista economica del Mezzogiorno rivela che nella regione occorrono in media sette anni per completare un’opera finanziata con fondi europei, con punte di cinque anni solo per la progettazione.

Attualmente risultano aperti decine di cantieri infrastrutturali. L’autostrada A19 Palermo–Catania registra 18 cantieri attivi su 64 interventi previsti, mentre solo 16 sono stati finora conclusi. Il tasso di completamento è fermo al 25%. Il quadro è aggravato da ritardi sistemici nell’attuazione e nella programmazione.

Secondo il rapporto Doing Business 2020 della Banca Mondiale, in Italia sono necessari in media 815 giorni (circa due anni e tre mesi) per completare l’intero iter di un appalto pubblico. Questo valore supera del 34,7% la media dell’Unione Europea, pari a 605 giorni. È un dato che riflette un problema strutturale: la lentezza amministrativa italiana, e siciliana in particolare, che ostacola ogni piano infrastrutturale di lungo periodo.

Infrastrutture essenziali: l’isola dei disservizi

Il ritardo nella realizzazione delle grandi opere si riflette in una rete di infrastrutture essenziali carente. La Sicilia è ancora servita da una rete ferroviaria in larga parte a binario unico, con solo il 60% elettrificato. Percorsi come Palermo–Catania richiedono tempi di percorrenza da anni Novanta: oltre tre ore per meno di 200 km.

Anche il sistema sanitario mostra criticità profonde. Le nuove Case di Comunità previste dal PNRR sono attive solo nel 65% dei casi, e si stima che manchino oltre mille medici per garantire i livelli minimi di assistenza. A tutto ciò si aggiunge una crisi idrica strutturale, che ha portato la Regione a dichiarare sovente stati di emergenza. Gli invasi sono sotto al 30% della capacità e le reti idriche registrano perdite superiori al 40%.

Un confronto europeo impietoso

Mentre la Sicilia fatica a completare anche le opere più ordinarie, altri Paesi europei hanno intrapreso da anni la strada dell’efficienza. In Francia, il programma Suite Rapide permette di rinnovare oltre 1.000 chilometri di ferrovia all’anno, con cantieri che durano in media solo sette settimane per tratte da 50 km. In Spagna, l’adozione obbligatoria del Building Information Modeling (BIM) nei contratti pubblici ha ridotto sensibilmente i tempi di realizzazione. La Germania, pur con difficoltà nei grandi progetti, pianifica con rigore e trasparenza.

In questo contesto, la Sicilia appare come una regione incapace di sfruttare appieno le proprie risorse e il proprio potenziale. Gli strumenti normativi e tecnici esistono, ma è la capacità amministrativa e gestionale a fare la differenza.

Priorità rovesciate?

Il Ponte sullo Stretto rischia di trasformarsi in un’eccezione progettuale calata su un territorio strutturalmente impreparato. Non sono in discussione solo i rischi tecnici o ambientali, ma soprattutto l’adeguatezza del contesto. Senza una rete ferroviaria all’altezza, senza cantieri in grado di chiudersi in tempi ragionevoli, senza un sistema sanitario e idrico funzionante, l’opera appare più un salto retorico che un’infrastruttura di sviluppo

I ritardi cronici mettono in discussione la capacità amministrativa di gestire opere complesse. Se non si riesce a completare una galleria o a mettere in sicurezza una statale, quanto è realistico pensare di costruire e rendere operativo un ponte lungo 3,3 km sopra un’area ad altissimo rischio sismico?

Prima di un ponte da record, servono strade percorribili, treni funzionanti e ospedali accessibili. Serve una Sicilia connessa a se stessa prima che al continente. Un’inversione di priorità che potrebbe fare la vera differenza.