Il sogno del Ponte sullo Stretto di Messina, simbolo delle grandi ambizioni infrastrutturali del governo, si ferma ancora una volta. Dopo mesi di annunci, progetti e promesse, la delibera amministrativa del CIPESS, che avrebbe dovuto aprire i cantieri entro l’anno, è stata stoppata dalla Corte dei Conti.
Un alt definitivo – almeno per ora – che riporta l’opera più discussa d’Italia al punto di partenza, lasciando sospese le speranze di chi vedeva nel ponte il segno tangibile di un nuovo slancio per il Mezzogiorno, e di chi, al contrario, teme l’ennesimo rischio di un’infrastruttura incompiuta e di risorse pubbliche sprecate, che potrebbero invece essere destinate a colmare i vuoti di servizi e connessioni ancora profondi nel Sud.
Ma cosa c’è davvero dietro lo stop della Corte dei Conti? Una presa di posizione contro il governo, o il semplice esercizio di un dovere costituzionale nei confronti di un atto amministrativo dello Stato?
Perché la Corte dei Conti non è intervenuta sul “Superbonus 110%”?
La domanda che molti, anche all’interno della maggioranza, si sono posti è semplice: perché la Corte dei Conti è intervenuta sul Ponte sullo Stretto, ma non sul Superbonus 110%?
Un interrogativo rilanciato da esponenti politici e da parte della stampa più vicina al governo, che hanno ricordato come il Superbonus introdotto dal governo Conte II e mantenuto nel primo anno del governo Meloni (al 110% per i cantieri già avviati e al 90% per i nuovi), è stato uno dei provvedimenti che più costosi per lo Stato.
Eppure, nonostante il suo enorme impatto sul bilancio dello Stato, la Corte dei Conti non è mai intervenuta preventivamente per bloccarlo. La ragione è giuridica, non politica.
Il Superbonus è una misura fiscale inserita nella legge di bilancio, dunque un atto legislativo approvato dal Parlamento. In questo caso la Corte dei Conti non ha poteri di controllo ex ante: può intervenire solo ex post, per valutarne gli effetti economici e finanziari una volta entrata in vigore.
Ed è ciò che ha fatto, più volte, nei suoi rapporti sulla finanza pubblica, sottolineando come il Superbonus abbia gravato pesantemente sui conti dello Stato, contribuendo all’aumento del debito e non producendo i risultati attesi sulla crescita reale.
E invece perché sul Ponte sì?
Il Ponte sullo Stretto non nasce da una legge del Parlamento, ma da un provvedimento amministrativo del governo, formalizzato con una delibera del CIPESS – il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile.
Il CIPESS non legifera: coordina, approva e attua i grandi piani di investimento pubblico, valutandone sostenibilità e coperture. Per questo la delibera sul Ponte non ha forza di legge, ma è un atto amministrativo soggetto a verifiche tecniche e controlli contabili.
Deve rispettare il Codice degli appalti pubblici (D.Lgs. 36/2023) e la Direttiva 2014/24/UE, recepita in Italia con il D.Lgs. 50/2016, che impone trasparenza e concorrenza nei contratti pubblici. La normativa europea prevede che, se il valore dell’appalto cresce di oltre il 50% senza variazioni sostanziali del progetto, il bando debba essere ripetuto, per evitare favoritismi e garantire pari accesso agli operatori.
È in questo quadro che si colloca l’intervento della Corte dei Conti, chiamata a verificare che un’opera di tale portata rispetti legittimità, coperture e regole di concorrenza.
Quindi è un atto dovuto o un tentativo di sostituirsi al potere esecutivo?
La risposta, al di là delle polemiche politiche, è chiara: si tratta di un atto dovuto.
La Corte dei Conti, come previsto dall’articolo 100 della Costituzione, esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo che comportano impegni di spesa rilevanti per lo Stato. Il suo intervento sul Ponte sullo Stretto non è un’iniziativa discrezionale, ma parte del processo di verifica che precede l’efficacia di ogni delibera amministrativa del CIPESS.
Nel caso specifico, la Corte ha motivato il mancato visto con la mancanza di documentazione tecnica completa e aggiornata, con coperture finanziarie ritenute ancora incerte e non vincolanti, e con l’uso di stime di traffico datate, risalenti addirittura al 2006, che non consentono di valutare in modo attendibile la sostenibilità economica dell’opera.
A ciò si aggiungono richiami alla necessità di rispettare la normativa europea sugli appalti, in particolare la direttiva 2014/24/UE, che impone di rinnovare le gare in caso di variazioni sostanziali di valore o condizioni contrattuali.
Non si tratta, dunque, di un gesto politico o di una contrapposizione istituzionale, ma del naturale esercizio di una funzione di garanzia: assicurarsi che un progetto di tale portata proceda nel pieno rispetto della legge, della trasparenza e della sostenibilità finanziaria.
Quando la politica dimentica come funziona lo Stato
Attribuire alla Corte dei Conti un intento politico significherebbe confondere i piani del diritto e della politica.
Il controllo contabile non limita la volontà del Governo, ma ne assicura la correttezza amministrativa: se le carte sono in regola, la Corte registra l’atto e l’opera può procedere; se emergono incongruenze o carenze di copertura, ha il dovere di rinviare il provvedimento per le necessarie integrazioni. È il meccanismo di equilibrio tra poteri che la Costituzione stessa ha voluto, per garantire che l’impulso politico non travalichi la legalità amministrativa.
Eppure, di fronte a questa dinamica ordinaria, la stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato di voler “riverificare la documentazione”, lasciando trasparire una certa perplessità sull’operato del proprio esecutivo.
Un’ammissione che suona come un cortocircuito istituzionale: possibile che un governo non conosca – o finga di non conoscere – il funzionamento della macchina dello Stato e il ruolo di garanzia della Corte dei Conti nel tutelare la legalità della spesa pubblica?
Alla fine, il vero paradosso è che chi invoca la “piena libertà di agire” sembra dimenticare che non c’è libertà senza regole, e che la credibilità di un Paese non si misura nella velocità con cui spende, ma nella trasparenza con cui lo fa.
