La pace imposta che gli ucraini non vogliono

Sondaggi alla mano, Kiev rifiuta concessioni territoriali senza garanzie: un avvertimento a Washington

Ucraina

Il sondaggio dell’Istituto Internazionale di Sociologia di Kiev non è solo una fotografia dell’opinione pubblica ucraina, è un atto d’accusa contro una certa idea di “pace rapida” che circola nei palazzi occidentali, soprattutto a Washington. Tre quarti degli ucraini considerano del tutto inaccettabile qualsiasi accordo che preveda la cessione di territori o una drastica riduzione delle capacità militari senza garanzie di sicurezza vincolanti. È un dato netto, politicamente scomodo, ma democraticamente inequivocabile.

Il compromesso ha dei limiti

La disponibilità al compromesso esiste, ma entro limiti precisi. Il 72% degli intervistati accetterebbe un congelamento dell’attuale linea del fronte, segno che la società ucraina è stanca di una guerra che dura da quasi quattro anni. Tuttavia, stanchezza non significa resa. Cedere il Donbas o accettare una “pace” che lasci l’Ucraina strutturalmente vulnerabile equivale, per la maggioranza degli ucraini, a rimandare il conflitto alla prossima offensiva russa. La memoria del 2014 pesa ancora, e non a torto.

Zelenskiy stretto tra alleati e consenso interno

Questo quadro rende evidente la difficoltà di Volodymyr Zelenskiy. Da un lato, la pressione crescente della Casa Bianca per chiudere il conflitto, dall’altro, un’opinione pubblica che rifiuta soluzioni percepite come imposte e sbilanciate a favore di Mosca. Non si tratta di nazionalismo emotivo, ma di un calcolo politico razionale, senza garanzie credibili, qualsiasi concessione territoriale è vista come una sconfitta strategica.

Il crollo della fiducia negli Stati Uniti

Il dato forse più rivelatore del sondaggio, però, riguarda la fiducia. Solo il 21% degli ucraini si fida oggi degli Stati Uniti, un crollo impressionante rispetto al 41% di un anno fa. Anche la NATO perde terreno. Questo scetticismo non nasce dal nulla, è il prodotto di messaggi ambigui, di piani di pace percepiti come scritti altrove e di un cambio di tono a Washington che privilegia la rapidità rispetto alla sostenibilità. In altre parole, l’alleato fondamentale dell’Ucraina appare sempre meno come un garante e sempre più come un mediatore stanco.

La pressione americana che allontana la pace

Qui sta il paradosso, la strategia statunitense, volta ad accelerare la fine della guerra, rischia di allontanarla. Senza fiducia nelle garanzie offerte, la società ucraina non legittimerà alcun accordo. E senza legittimazione interna, nessuna pace è stabile. Lo conferma un altro dato: il 63% degli ucraini è ancora pronto a continuare a combattere, mentre solo il 9% crede che la guerra finirà entro l’inizio del 2026. Non è ottimismo bellico, è realismo politico.

Elezioni e sovranità sotto assedio

Anche il tema delle elezioni si inserisce in questo contesto. L’insistenza americana su un voto durante la legge marziale è percepita dalla stragrande maggioranza degli ucraini come un tentativo di indebolire il paese nel momento più critico. Non a caso, solo il 9% vorrebbe elezioni prima della fine delle ostilità. La democrazia, per gli ucraini, non è sospesa, è difesa sul campo di battaglia.

La lezione ignorata

Il messaggio che arriva da Kiev è chiaro e scomodo, la pace non può essere costruita contro la volontà di chi paga il prezzo più alto della guerra. Ignorare questo dato non accelera la fine del conflitto, ma ne prepara la prosecuzione. Con costi ancora più alti, per tutti.