
La notizia è di quelle che scuotono lo scenario internazionale: Hamas ha accolto positivamente il piano presentato da Donald Trump per il cessate il fuoco a Gaza e per il rilascio degli ostaggi israeliani. Un annuncio che, al di là delle opinioni sul controverso ex presidente americano, segna un punto di svolta in una guerra che da quasi due anni dissangua il Medio Oriente.
La svolta sugli ostaggi
L’elemento centrale è chiaro: Hamas ha dichiarato la propria disponibilità a liberare tutti gli ostaggi. Un atto che, se confermato e attuato, priverebbe Israele della principale giustificazione per continuare i bombardamenti indiscriminati che hanno trasformato Gaza in un cimitero a cielo aperto. È un gesto politico, ma anche simbolico, che pone Israele davanti a un bivio: rispondere con un impegno di pace o proseguire con una spirale di distruzione che rischia di travolgere ogni credibilità morale e diplomatica.
Il coro internazionale
Le reazioni dei leader mondiali testimoniano la portata di questo annuncio. Emmanuel Macron parla di una pace “a portata di mano”. Keir Starmer lo definisce “un significativo passo avanti”. Ursula von der Leyen e il cancelliere tedesco Friedrich Merz si uniscono a questo coro, sottolineando che non si può sprecare l’occasione. Persino Netanyahu, pur mantenendo toni prudenti, ha fatto sapere che Israele si sta preparando all’attuazione della prima fase del piano.
Il nodo israeliano
La cornice internazionale, dunque, è favorevole: dal Qatar all’Egitto, dalle Nazioni Unite all’Unione Europea, l’intero spettro diplomatico sembra convergere sulla necessità di cogliere l’opportunità. Ma il punto cruciale resta la volontà politica di Tel Aviv. Perché se Hamas ha compiuto un passo, il rischio è che Israele, ancora intrappolato nella logica della forza e della punizione collettiva, possa tirarsi indietro, evocando condizioni irrealistiche o rilanciando nuove pretese.
Trump mediatore inatteso
L’offerta di Hamas non cancella le responsabilità del gruppo né i crimini commessi, ma rappresenta un gesto che nessuno può ignorare. Non è solo diplomazia: è la concreta possibilità di fermare un massacro che ha ridotto Gaza a macerie e ha privato centinaia di migliaia di civili della dignità e del futuro. Se davvero gli ostaggi israeliani verranno liberati, non ci sarà più alibi per mantenere in piedi l’assedio.
In questo scenario, paradossalmente, la figura di Donald Trump riemerge come mediatore inatteso. I suoi avversari lo accusano da sempre di rozzezza politica, ma questa volta ha saputo imporre un’iniziativa che sta ricevendo riconoscimenti anche dagli scettici. Resta da vedere se saprà accompagnare l’accordo oltre l’annuncio, traducendolo in risultati concreti e duraturi.
Fermare il massacro
Il rischio maggiore, come sempre, è che questa occasione venga sprecata. Le guerre in Medio Oriente hanno già prodotto infinite promesse mancate, trappole negoziali e illusioni di pace. Ma se Hamas ha compiuto il passo decisivo sul nodo degli ostaggi, se la comunità internazionale ha accolto con favore questa svolta, allora spetta a Israele dimostrare che la sua sicurezza non è fondata sulla distruzione sistematica di un popolo ma sulla costruzione di una convivenza possibile.
L’appello che oggi risuona da Washington a Bruxelles, da Doha al Cairo, è semplice: fermate il massacro. Restituiamo gli ostaggi alle loro famiglie. Fermiamo le bombe. Offriamo a Gaza e a Israele una prospettiva di pace che non sia solo l’ennesima tregua fragile, ma l’inizio di un processo politico reale.
Perché se dopo quasi due anni di devastazione Hamas è disposto a consegnare gli ostaggi, non c’è giustificazione che tenga per continuare la guerra. La storia giudicherà severamente chi, di fronte a un’occasione così chiara, avrà scelto di voltarsi dall’altra parte.