Napoli, l’agguato alla Federico II. D’Orsi: “Non parlo con i fascisti”

Conferenza interrotta con la forza all’Università di Napoli: microfono strappato, inseguimenti e accuse durante l’incontro ANPI. Lo storico annulla tutti gli appuntamenti pubblici

Doveva essere una conferenza. L’ennesima, dopo due rinvii e un recupero parziale a Roma. È diventata, invece, un caso politico, un episodio di violenza dentro l’università, un racconto di intimidazione che si consuma tra aule affollate, microfoni che non funzionano e un’uscita di sicurezza imboccata in fretta per evitare il contatto diretto con chi, fuori, attende.

È quanto accaduto il 22 dicembre, all’Università Federico II di Napoli, durante l’incontro organizzato dall’ANPI Napoli Orientale “A. Ferrara”, dal titolo “Russofilia, Russofobia, Verità”. A raccontarlo, il giorno dopo, è lo stesso protagonista: Angelo d’Orsi, storico e professore universitario, che in un comunicato stampa ricostruisce minuto per minuto quanto accaduto.

All’incontro, oltre a d’Orsi, era stato invitato Alessandro Di Battista, che ha aperto la serata con “un intervento breve e appassionato”. Poi sarebbe toccato allo storico: il compito di “disegnare il quadro storico dei due opposti concetti (filia e fobia, in relazione al mondo russo)”.

Ma quel quadro non verrà mai completato.

Quando il presidente della sezione ANPI, Franco Specchio, apre il dibattito al pubblico, la situazione degenera. “Si alza in piedi urlando a squarciagola un giovane”, racconta d’Orsi, “mentre si toglie la camicia ostentando una maglietta inneggiante all’Ucraina”. Non è solo, altri lo imitano: occupavano due file di sedie, mentre decine di persone erano in piedi o sedute a terra. Il gruppo si disperde nell’aula cercando di infilare “nei vestiti dei presenti una spilletta con coccarda ucraina”.

La platea reagisce, non come confronto ma come respingimento di un’azione percepita come invasiva. Parte il parapiglia: è a quel punto che la tensione esplode. Il giovane che aveva dato inizio alla protesta “si precipita verso la cattedra e vi sale sopra”, cercando di strappare il microfono dalle mani di d’Orsi. Ci riesce: il microfono si rompe. Altri lo seguono, si avventano verso il relatore e verso il presidente dell’ANPI, tentando di infilare con la forza le spillette sulle camicie. “Un gesto violento e arrogante che noi respingiamo”, scrive d’Orsi.

Il clima si surriscalda. Alcuni cercano di portarlo fuori dall’aula, ma l’uscita non è immediata. Il professore viene inseguito da quello che definisce “manifestamente il capo della banda”, che lo provoca mentre corre, con domande gridate: “cosa ci faceva in Russia?! Et similia…”. Non attende risposte. “Se le dà da solo, accusandomi di essere ‘complice’ di non so quali nefandezze”.

L’inseguimento dura alcuni minuti. Solo un improvvisato servizio d’ordine riesce a fermare il gruppo, consentendo a d’Orsi di uscire da un percorso alternativo, evitando l’ingresso principale della Federico II. Lì, spiega, “gli ammiratori di Zelenskij mi aspettano”.

Nel caos, emerge un altro dettaglio che d’Orsi sottolinea: l’impianto microfonico. “Stranamente non funzionava”, nonostante fosse stato testato poche ore prima. Dopo tentativi infruttuosi, si era dovuti ricorrere a un microfono e a un altoparlante alternativi. Un problema tecnico che, nel racconto complessivo, diventa un ulteriore elemento di vulnerabilità.

Le conseguenze non si fermano all’aula. A causa dello scompiglio, d’Orsi non riesce a raggiungere in tempo la stazione di Piazza Garibaldi, dove avrebbe dovuto prendere il treno per Roma. È costretto a fare un nuovo biglietto, per un altro convoglio.

Nel comunicato, lo storico collega l’accaduto a un clima politico che definisce sempre più aggressivo. Ricorda che “negli scorsi giorni Carlo Calenda aveva lanciato una ridicola petizione contro la conferenza”, insieme a una “aspirante assegnista dell’ateneo napoletano”. E aggiunge che il giorno prima, a Napoli, l’europarlamentare Pina Picierno aveva partecipato all’accensione del candelabro ebraico, evento al quale “sembra fossero presenti alcuni degli stessi giovani energumeni” protagonisti dell’irruzione.

Secondo d’Orsi, pochi minuti dopo l’episodio sarebbe stato diffuso un comunicato – ripreso dall’ANSA – che ribaltava la versione dei fatti, presentando gli aggressori come vittime. I firmatari? “I soliti, ben noti provocatori della politica nazionale: Azione, +Europa, Radicali, e altra cianfrusaglia”.

C’è una frase che resta sospesa nell’aria mentre d’Orsi lascia l’università, inseguito e accusato di “rifiutare il confronto”. È la sua risposta, secca: “Non parlo con i fascisti”.

Perché, conclude, “a Napoli abbiamo subito un agguato organizzato”, che non ha nulla a che fare con il dialogo, con il rispetto dell’università come luogo “sacro”, né con il confronto democratico. “Si cerca di intimidire con azioni squadriste chi ha passato la vita a studiare, insegnare, pubblicare”.

La conclusione è netta e va oltre l’episodio napoletano: “Il clima politico-mediatico in Italia sta diventando irrespirabile”. Per questo, d’Orsi annuncia una decisione drastica: annulla tutte le conferenze programmate e non ne accetterà di nuove se non saranno garantite precise condizioni di sicurezza.

La decisione non riguarda solo Napoli. Dopo gli episodi delle ultime settimane – dalle conferenze boicottate e rinviate, fino alla cancellazione di appuntamenti già programmati anche a Torino e in altre città – d’Orsi parla apertamente di una escalation. Non più contestazioni, ma un metodo. Non più dissenso, ma intimidazione organizzata. Una dinamica che, a suo dire, rende impossibile garantire un confronto pubblico sereno e sicuro, trasformando ogni incontro in un potenziale terreno di scontro.

Quattro i punti richiesti: spazi adeguati, impianti di amplificazione verificati, un servizio d’ordine interno e una preventiva informativa alla Digos e alle forze dell’ordine. Per evitare, scrive, di essere lasciato “alla mercé di ucronazi locali e dei loro supporters”.

Senza queste garanzie, conclude, “considero annullati tutti gli impegni”.

Non è solo la cronaca di una conferenza interrotta con la forza. È il segnale di qualcosa di più ampio e inquietante. Perché ciò che accade alla Federico II non riguarda soltanto Angelo D’Orsi, né una singola posizione sul conflitto russo-ucraino. Riguarda il confine sempre più fragile tra dissenso e delegittimazione, tra critica e intimidazione. Quando il confronto viene impedito fisicamente, quando il microfono diventa un oggetto da strappare e non uno strumento di parola, quando l’università – luogo per definizione deputato al pensiero critico – si trasforma in un campo di battaglia, allora il problema non è più chi parla, ma chi decide chi può parlare.

In questo scenario, la decisione del professor d’Orsi di annullare tutte le conferenze non è una resa, ma una denuncia. È l’atto estremo di chi segnala che le condizioni minime della democrazia del dibattito stanno venendo meno. Perché senza sicurezza, senza rispetto dei luoghi, senza tutela delle persone, la libertà di parola diventa un concetto astratto, svuotato di senso concreto.

La domanda finale, dunque, non è retorica ma urgente: che spazio resta oggi, nelle università italiane, per il dissenso autentico, per il confronto reale, per una parola che non sia allineata o preventiva­mente autorizzata, quando il microfono può essere strappato di mano?

È una domanda che riguarda tutti: non solo chi era in quell’aula.

BOX informativo: Chi è Angelo d’Orsi?

Storico e giornalista, Angelo d’Orsi è professore emerito di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. Studioso di Gramsci e del Novecento italiano, ha diretto la rivista Historia Magistra e pubblicato numerosi saggi sulla storia delle idee, sugli intellettuali e sulla libertà di pensiero. Tra le sue opere più note: ‘Gramsci. Una nuova biografia’, ‘Guernica 1937’ e ‘Intellettuali nel Novecento italiano’. Figura di riferimento del dibattito culturale italiano, unisce ricerca storica e impegno civile.