Musk lascia la Casa Bianca: il visionario con poca visione politica

Tesla paga il prezzo di una scelta ideologica sbagliata. Ora Musk torna in azienda non da leader visionario, ma da re decaduto

trump musk

Elon Musk ha commesso l’errore più grave della sua carriera. Non per un lancio andato storto, non per un ritardo nei suoi eterni annunci sulla guida autonoma o sui robot umanoidi. No. Il suo errore è stato politico, ideologico e, soprattutto, di immagine. Affiancarsi a Donald Trump, accettare un ruolo istituzionale creato ad hoc all’interno del cosiddetto Doge, il Dipartimento per l’efficienza governativa, ha segnato una svolta che Musk non potrà più cancellare. Per sempre sarà ricordato come l’imprenditore che ha sposato, almeno per un periodo, la causa trumpiana.

Il connubio tra Musk e Trump sembrava, per certi versi, inevitabile: due egomaniaci, convinti di essere in missione per salvare l’America, uno con i tweet, l’altro con le auto elettriche e i razzi spaziali. Ma ciò che pareva un matrimonio tra titani dell’innovazione e della retorica ha mostrato rapidamente le sue crepe. Dietro l’illusione di un’alleanza strategica si nascondevano divergenze profonde, incompatibilità ideologiche e, infine, interessi in conflitto.

La scintilla della rottura? I dazi. Trump, coerente con la sua narrativa protezionista, ha imposto nuovi dazi globali, ignorando deliberatamente gli interessi di Musk, leader di un’industria che vive di approvvigionamenti internazionali e che guarda al mondo come al proprio mercato naturale. Le parole non dette pesano più dei discorsi ufficiali: la decisione di Trump è stata un affronto, una pugnalata politica. Musk, che aveva scommesso sulla possibilità di “cambiare il sistema dall’interno”, si è ritrovato a subirne le contraddizioni.

Nel frattempo, Tesla crolla. I numeri parlano chiaro: utili giù del 71%, fatturato in calo, consegne ridotte. Ma il vero danno è al brand. L’identità culturale di Tesla, progressista, ecologista, futurista, è stata violentata dall’immagine del suo CEO a fianco di Trump, il presidente che ha smantellato l’obbligo sui veicoli elettrici. I consumatori non hanno perdonato. Hanno reagito con mail di disdetta, con adesivi beffardi sui paraurti delle proprie auto, con proteste davanti alle concessionarie. Il messaggio è chiaro: non si può vendere il futuro se lo si associa a un passato che divide.

E ora Musk, in ritirata strategica, annuncia che lavorerà solo un giorno a settimana per il governo. Ma non basta per cancellare l’impronta lasciata. La fiducia si guadagna in anni, ma si perde in un’elezione. Starlink, Tesla, Neuralink: tutti i suoi progetti globali ora si portano dietro l’ombra lunga della politica americana più divisiva. I mercati non dimenticano. I governi esteri, soprattutto in Europa e Asia, iniziano a guardare con sospetto le tecnologie “a stelle e strisce” gestite da un uomo che ha flirtato con il populismo.

In un mondo sempre più polarizzato, Elon Musk ha scelto, forse per superbia, forse per calcolo, un lato della barricata. Ma l’innovazione non ha bandiere, e la tecnologia non sopravvive nel recinto stretto di un’ideologia. Musk ha inseguito il potere politico e ha perso quello che contava di più: la sua aura di visionario indipendente. La storia dell’imprenditoria americana ricorderà questo errore come il punto di svolta. Il genio che è volato troppo vicino al sole, bruciandosi non le ali, ma il futuro.