La missione impossibile di Giorgia Meloni

Il tycoon ignora l’Ue, boccia le proposte sui dazi e prepara una nuova stagione di muscoli. Meloni spera, ma sa di poter perdere tutto

Giorgia Meloni

Giorgia Meloni parte per Washington con un obiettivo ambizioso ma un bagaglio pesante di incognite. La missione americana, che dovrebbe segnare un momento di rilancio per i rapporti tra Italia e Stati Uniti, rischia invece di trasformarsi in una prova di sopravvivenza diplomatica. I nodi sono molti: dazi, Ucraina, spese militari, Cina. E le soluzioni? Ancora in alto mare. La premier, che pure ambiva a fare da ponte tra l’Europa e Donald Trump, si ritrova ora senza rete e con poche carte da giocare.

La sindrome del “mediatore”

Meloni sognava di ritagliarsi il ruolo di mediatrice credibile tra un’Europa prudente e un’America trumpiana imprevedibile. Ma quel ruolo oggi appare più che mai velleitario. La sponda europea è divisa, con Francia e Spagna che spingono verso Pechino, mentre gli Stati Uniti non sembrano intenzionati a cedere sui dazi, come dimostra la bocciatura secca da parte di Trump delle ultime aperture Ue. Meloni vorrebbe mediare, ma rischia di essere ignorata da entrambe le parti. E anche i suoi interlocutori europei, a cominciare da Ursula von der Leyen, sembrano pronti ad approfittare della sua trasferta per tentare un contatto diretto con Trump, bypassando Palazzo Chigi.

Silenziare Salvini (almeno per 48 ore)

A rendere ancora più instabile l’equilibrio della premier è la fragilità interna della sua coalizione. Meloni ha dovuto chiedere personalmente ai suoi alleati, in primis al volubile Salvini, di sospendere le polemiche per “almeno due giorni”. La richiesta, rivolta durante una riunione a Palazzo Chigi con Tajani, Giorgetti e Crosetto, è un segnale chiaro: la premier sa che basta una frase fuori posto per far deragliare un’agenda diplomatica già compromessa. La preoccupazione per le uscite del leghista, ancora intento ad attaccare “gli ultrà di Bruxelles”, dimostra quanto poco margine di manovra Meloni abbia sul fronte interno.

La realtà batte la propaganda

Meloni si è presentata al mondo come una leader forte, capace di tenere testa a tutto e a tutti. Ma ora la realtà le presenta il conto. Il gelo sui dazi, l’ambiguità americana sull’Ucraina, le pressioni Nato sulle spese militari al 2% del PIL: tutto converge contro di lei. E se anche il “piano di pace commerciale” evocato da Tajani appare più uno slogan che un progetto concreto, è evidente che il governo italiano rischia di tornare a casa a mani vuote. O peggio: con una lista di richieste americane a cui sarà difficile dire di no.

Il fattore Trump, tra ansia e imponderabile

L’incontro con Donald Trump, domani nello Studio Ovale, sarà il primo vero faccia a faccia tra i due leader. Ma anche il più rischioso. Gli sherpa hanno lavorato senza sosta per preparare il terreno, ma come sempre con Trump, tutto può cambiare in un istante. Una battuta velenosa, una dichiarazione improvvisa, un cambio di umore: bastano pochi secondi per mettere in crisi mesi di preparazione. E Meloni lo sa bene. Per questo appare incerta, attendista, quasi rassegnata. «Faremo del nostro meglio, vediamo come va…», ha detto ieri. Una frase che suona più come una difesa preventiva che come una promessa.

Una leader al bivio

La trasferta americana è uno spartiacque per Giorgia Meloni. Può segnare la sua consacrazione internazionale o la fine della sua ambizione di diventare un riferimento per l’Occidente conservatore. Per ora, però, la premier appare sola, circondata da alleati tiepidi e partner diffidenti. In un’Europa che guarda alla Cina e a un’America che guarda solo a se stessa, l’Italia rischia di restare ai margini. E con lei, anche la sua leader.