
A Milano la partita è aperta. Con la fine del mandato di Beppe Sala prevista per la primavera del 2027, la città torna al centro del dibattito politico nazionale. Il centrosinistra spera di blindare il fortino, il centrodestra di riconquistarlo. Ma se a Roma si litiga e si media, a Milano si vince solo con una visione e con un volto: un candidato civico, autorevole, pragmatico. Un nuovo Albertini.
La debacle del 2021 è ancora fresca. Divisi, litigiosi, scollegati dalla città, i partiti del centrodestra regalarono a Sala una passeggiata. Ma il tempo dell’autocritica è finito: ora serve una scelta coraggiosa e unitaria, senza veti incrociati, senza giochi di corrente. Perché Milano non è una poltrona da spartire, ma un laboratorio da far ripartire.
L’identikit del futuro candidato vincente non può che rifarsi a Gabriele Albertini, il miglior sindaco che la Milano moderna ricordi: civico, sì, ma con le spalle larghe; liberale nei valori, europeista nei toni, concreto nella gestione. Uno che non parlava alla pancia, ma alla testa e al cuore della città. E che non aveva bisogno di strilli ideologici per lasciare il segno.
Per questo il nome non può uscire da un congresso di partito o da un gioco di equilibri romani. Deve venire dalla società milanese, quella vera: dalle imprese che resistono, dai professionisti che innovano, dalle energie civiche che credono ancora nel merito e nella bellezza del fare. Serve una figura che conosca Milano, che ne ami le contraddizioni e voglia scioglierle, non cavalcarle. Qualcuno che non tema la parola “competenza”.
Negli scorsi mesi, il centrodestra ha sondato nomi noti: imprenditori, ex ministri, professionisti con visibilità. Alcuni, come Regina De Albertis, sono stati bruciati da polemiche e inchieste che, pur non coinvolgendoli penalmente, li rendono oggi fragili. Altri, come Maurizio Lupi, rappresentano l’anima più moderata della coalizione, ma rischiano di non sfondare oltre il recinto del già convinto.
Ed è qui che il centrodestra si gioca tutto. Milano non chiede un politico “di professione”, né un tecnico senz’anima. Vuole un sindaco che abbia visione e mani in pasta. Che sappia parlare con le periferie senza dimenticare Porta Nuova. Che metta ordine nel caos urbanistico e ridia respiro alla mobilità. Che faccia di Milano la capitale verde ed economica del Mediterraneo, senza inseguire slogan ma costruendo ponti tra impresa, cultura e innovazione.
È tempo di ritrovare l’orgoglio ambrosiano, quello che unisce l’etica del lavoro con la passione civile. Il centrodestra ha davanti a sé una grande occasione: dimostrare che può governare una metropoli moderna senza farsi logorare dai personalismi. Ma può farlo solo con una candidatura condivisa, civica, forte, sopra le parti. Un nome solo, una sola squadra, una sola direzione.
Milano non aspetta. Milano osserva. E nel 2027 giudicherà.