
Un giovane di origine marocchina, di soli 29 anni, alla fermata dell’autobus “Castellana” a Mestre, accasciato su una panchina sotto la pensilina. Era stato scoperto in condizioni critiche dai passanti, in attesa del mezzo pubblico. Si erano accorti subito che qualcosa non andava: l’uomo non riusciva a parlare italiano, era visibilmente in difficoltà e presentava gravi lesioni al torace.
Gli operatori del 118, intervenuti immediatamente sul posto, hanno escluso sin da subito l’ipotesi di un malore improvviso. I traumi riportati erano compatibili con una caduta dall’alto, e non con cause naturali. L’uomo, trasportato d’urgenza in ospedale, era in condizioni serie ed è tuttora ricoverato in prognosi riservata.
Mestre: una caduta sul lavoro, poi l’abbandono
A chiarire i contorni dell’episodio sono state le indagini dei carabinieri, avviate appena dopo il ritrovamento. In meno di 48 ore è emersa una verità inquietante. Il giovane non era un passante o un senzatetto, ma un lavoratore impiegato in un cantiere edile in via Maestri del Lavoro, a Mira. Lì stava operando su un tetto, privo di adeguate protezioni. Da lì è precipitato da un’altezza stimata tra i sette e gli otto metri — circa il secondo piano di un edificio.
I lavori riguardavano la sistemazione di infiltrazioni sul tetto di un immobile a Mestre. L’intervento era stato affidato a una ditta esterna, gestita da un altro cittadino straniero. Secondo quanto emerso, non erano presenti ponteggi né dispositivi di sicurezza individuali, elementi che ora sono al centro delle verifiche da parte degli inquirenti. In seguito all’incidente, il giovane sarebbe stato caricato su un veicolo e abbandonato alla fermata dell’autobus, senza alcuna segnalazione né richiesta di soccorso.
Cantiere sotto sequestro e indagini in corso
I carabinieri hanno posto immediatamente sotto sequestro il cantiere, ravvisando gravi irregolarità. Le indagini proseguono per accertare le responsabilità dell’impresa coinvolta. Soprattutto, comprendere come sia stato possibile che un lavoratore, ferito in modo così grave, sia stato lasciato per strada invece che soccorso adeguatamente.
Il gesto di scaricare un ferito anziché allertare i servizi di emergenza, oltre a configurare ipotesi di reato gravi, solleva interrogativi inquietanti sul rispetto delle norme di sicurezza e sulla dignità delle condizioni lavorative.
Reazioni istituzionali e sindacali: “Un’umiliazione intollerabile”
Il sindaco di Mira, Marco Dori, ha espresso profonda preoccupazione e indignazione per l’accaduto. Ha promesso il massimo impegno da parte dell’amministrazione per fare piena luce sull’incidente: “Ci troviamo davanti a una vicenda gravissima, che richiama tutti alle proprie responsabilità”.
Dura anche la reazione dei sindacati Cgil, Cisl e Uil e del Partito Democratico, che in una nota congiunta hanno denunciato l’episodio come un chiaro esempio di “illegalità, sfruttamento e disprezzo per la dignità umana”. Le sigle parlano apertamente di “scena disumana”, definendola una “ferita alla civiltà del lavoro che non può essere tollerata”.
Una riflessione doverosa: chi ha permesso tutto questo?
Oltre alle indagini e alle responsabilità penali, questo tragico episodio pone una questione morale profonda: com’è possibile che nel 2025 alcune aziende gestiscano ancora il lavoro in modo così spregiudicato e disumano? Chi permette l’esistenza di cantieri senza le minime tutele? Perché chi ha assunto un giovane lavoratore straniero, vulnerabile e forse non in regola, ha deciso di trattarlo come un oggetto da scartare invece che come una vita da salvare?
L’indignazione pubblica non basta: servono controlli più rigorosi, leggi rispettate e un impegno concreto per garantire sicurezza e dignità a chi lavora, indipendentemente dalla nazionalità o dallo status giuridico. Perché nessuno, mai, dovrebbe salire su un tetto per lavorare e finire poi, ferito e solo, su una panchina in attesa di soccorsi che nessuno ha avuto il coraggio di chiamare.