
Nel nostro quotidiano, l’aggressività ha preso dimora stabile. Lo si percepisce nei piccoli gesti, nelle relazioni umane ormai intrise di diffidenza, nei toni rabbiosi dei dibattiti online e nelle interazioni sui social. L’insulto è diventato una prassi, la rabbia un linguaggio. La violenza – verbale o fisica – non solo è tollerata, ma sempre più spesso viene banalizzata, accettata, quasi legittimata.
In questo clima avvelenato, anche la violenza sulle donne rischia di diventare invisibile. È come se l’Italia stesse smarrendo la capacità di indignarsi, incapace di fermarsi e dire: basta. I femminicidi, un tempo notizie da prima pagina, oggi sembrano scorrere nei notiziari come numeri di una tragica contabilità quotidiana.
Un grido nel silenzio: la protesta di Marina La Rosa
Una voce fuori dal coro, in mezzo a questa indifferenza collettiva, è quella di Marina La Rosa. L’ex gieffina, oggi opinionista e attivista, ha scelto un gesto potente per scuotere le coscienze: si è mostrata completamente nuda in un post su Instagram, seduta nel suo salotto, in un’immagine che fonde vulnerabilità e forza, accompagnata da parole taglienti.
Il suo sfogo nasce dopo il ritrovamento, nel parco romano di Villa Pamphili – proprio sotto casa sua – dei corpi senza vita di una donna e della sua bambina di appena cinque mesi, rinvenuti in un sacco nero tra i cespugli. Una scena che, nelle sue parole, infrange l’idea stessa di spazio sicuro, trasformando un luogo di vita e gioia in un teatro di morte.
Femminicidi: per Marina La Rosa un orrore normalizzato
Nel suo post, Marina evidenzia la frequenza con cui questi episodi si ripetono: “Un femminicidio ogni due giorni”. Donne uccise, violentate, strangolate, bruciate. La brutalità non conosce tregua, e ciò che è peggio è l’apatia collettiva. Il racconto che ha condiviso di suo figlio adolescente – che, di fronte alla notizia, ha reagito con un “sarà stato il padre” – è emblematico di quanto ormai questi episodi siano percepiti come inevitabili, se non addirittura normali.
Questa assuefazione è ciò che più angoscia. L’orrore non ci scandalizza più, e l’indifferenza diventa la più pericolosa delle complicità.
Lo Stato e la scuola: assenti o inadeguati?
Secondo Marina La Rosa, le istituzioni non stanno facendo abbastanza. Lo Stato appare incapace di contrastare efficacemente questo “paese degli orrori”, mentre la scuola – che dovrebbe essere il primo presidio educativo e culturale – è spesso disarmata o lasciata sola.
L’ex concorrente del Grande Fratello, con la sua formazione analitica, propone un’idea precisa: la necessità di una rieducazione sentimentale, un percorso che cominci nelle famiglie e si radichi nella scuola fin dalla più tenera età. Una formazione continua ai sentimenti, al rispetto, alla dignità dell’altro.
Un messaggio provocatorio per svegliare le coscienze
Il suo appello finale è volutamente provocatorio: “Tagliategli le mani!”. Un grido esasperato, un’espressione che evoca la regina di cuori di Alice nel Paese delle Meraviglie, ma che traduce la disperazione di chi si sente impotente davanti all’ennesima morte. È un’esternazione brutale, certo, ma serve ad accendere un faro su un tema che rischia di sprofondare nell’ombra.
La provocazione diventa denuncia: forse, dice Marina, solo davanti alla mutilazione fisica gli uomini cominceranno a dare valore ai loro corpi e, di conseguenza, alla vita delle donne. Parole estreme, che chiedono però di essere ascoltate, comprese, contestualizzate nel dolore e nella rabbia.
Indignarsi è ancora un dovere
In un Paese dove la rabbia sociale si riversa su tutto e su tutti, ma raramente su ciò che conta davvero, è urgente riprendere a indignarsi. Non si può accettare che la morte di una donna – e ancor più quella di una bambina – scivoli via come una delle tante notizie “di cronaca”.
La battaglia contro la violenza sulle donne non può essere lasciata solo alle voci isolate. Deve diventare una responsabilità collettiva, un’urgenza educativa, un impegno istituzionale. Solo così potremo davvero dire di vivere in un Paese civile.