Libia tra l’illusione dello Stato e la realtà delle milizie

In una crisi di identità nazionale vi è il lento emergere di una coscienza popolare

Da oltre un decennio, la Libia vive in una condizione di totale assenza del concetto di Stato moderno, uno Stato fondato su istituzioni, legalità e legittimità popolare. L’esperto di geopolitica del Medio Oriente e Nord Africa Khaled Awamleh ci racconta che  quello che vediamo oggi sul terreno è uno scenario ricorrente di caos normalizzato, dove potere e influenza sono divisi tra entità che non si basano su alcuna legittimità costituzionale o giuridica, ma piuttosto su forza militare, armi e relazioni personali.

Chi governa davvero?

In Libia, non esiste uno Stato nel senso tradizionale del termine. Non c’è una vera centralizzazione, né una sovranità unificata, né tantomeno una decisione nazionale indipendente. Coloro che dovrebbero essere i decisori politici sono, in realtà, o comandanti militari che impongono il loro controllo con le armi, o capi tribali con potere locale, oppure figure politiche protette da milizie che operano dietro le quinte.
I ministri e i cosiddetti “onorevoli” spesso non hanno né autorità né responsabilità reale. Sono semplicemente facciate, usate per abbellire un quadro già profondamente corrotto. I loro figli e le loro famiglie vivono comodamente all’estero, nelle capitali europee o arabe, dove godono di stabilità, sicurezza e servizi, lasciando alle spalle un popolo che ogni giorno lotta per sopravvivere in una patria che li respinge.

Favoritismo invece di competenza

Le nomine in Libia oggi non si basano su merito o integrità, ma su favoritismi e logiche di potere. Le fedeltà non sono al Paese, ma ai centri di potere — siano essi militari, tribali o legati alle milizie. Questo ha creato un sistema distorto, che non è in grado di generare leadership capaci di affrontare le crisi o costruire un futuro, ma che continua a riciclare le stesse figure sotto nuove etichette.

Divisione mascherata da decentralizzazione

La Libia è di fatto divisa, anche se non ufficialmente. Ogni regione è controllata da poteri locali, ogni città ha le proprie regole, la propria autorità e talvolta persino una propria moneta. Questo caos mascherato da “autonomia” indebolisce ogni speranza di vera unità nazionale, e trasforma l’idea stessa di “Stato” in un sogno lontano, ripetuto nei discorsi pubblici mentre la realtà racconta tutt’altro.

E poi?

La crisi libica non è solo politica o economica: è una crisi di identità nazionale. L’assenza di un progetto comune, e la trasformazione del potere in un bottino da spartire tra milizie e tribù, minaccia di portare a una frammentazione ancora più profonda.
Eppure, una speranza rimane. La speranza in una coscienza popolare che lentamente si risveglia, in una nuova generazione che rifiuta la rassegnazione, e in un desiderio nascosto del popolo libico di riprendersi il proprio Paese dalle mani del caos.