La legge Meloni–Schlein si arena: un’occasione mancata per l’Italia

Il Senato blocca una legge approvata quasi all’unanimità alla Camera nel pieno della Giornata contro la violenza sulle donne, un messaggio devastante e difficilmente giustificabile

Il rinvio al Senato della legge che introdurrebbe finalmente il principio “senza consenso è stupro” è qualcosa di più di un incidente parlamentare. È la rappresentazione plastica di una maggioranza che, di fronte a una riforma attesa da anni e approvata alla Camera con una maggioranza quasi unanime, decide di inciampare sulle proprie contraddizioni interne. E a farne le spese, ancora una volta, sono le donne.

Una legge attesa da anni, congelata all’ultimo minuto

Il testo non è perfetto, nessuna legge lo è, ma il suo impianto rappresenta un avanzamento culturale e giuridico indispensabile. Da anni la giurisprudenza supplisce alle ambiguità del legislatore; con questo ddl si sarebbe introdotta una definizione chiara, moderna e aderente agli standard internazionali. Eppure, il patto bipartisan annunciato come un inedito terreno comune tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein si è dissolto nel giro di poche ore, trasformandosi in un boomerang politico.

La mossa della Lega e il calcolo politico interno

L’elemento più grave non è il rinvio in sé, ma il contesto. La decisione della Lega di “approfondire” ulteriormente il testo arriva all’indomani di un risultato elettorale nel Veneto che ha riacceso nel Carroccio la tentazione di marcare il territorio come forza più dura e pura della coalizione. Fratelli d’Italia, invece di esercitare la propria leadership e blindare l’accordo annunciato dalla stessa Meloni, ha seguito il passo della Lega, preferendo evitare frizioni piuttosto che dare al Paese una legge che avrebbe segnato una svolta storica.

Il paradosso è evidente, un governo che si riempie la bocca di “lotta alla violenza di genere” non ha avuto il coraggio politico di confermare in Aula una norma che avrebbe sancito un principio elementare. Lo stop, mascherato da esigenza tecnica, ha interrotto l’iter proprio nel giorno simbolo contro la violenza sulle donne. Non serve essere maliziosi per coglierne l’impatto politico.

Argomenti tecnici o alibi politici?

Il leitmotiv della maggioranza è quello della prudenza, evitare “lacunose interpretazioni”, scongiurare “vendette personali”, preservare il sacro onere della prova. Argomenti che, presi singolarmente, meritano attenzione. Ma è difficile non vedere come siano diventati l’alibi perfetto per congelare una legge che la stessa destra aveva deciso di sostenere, almeno finché farlo non comportava un costo interno.

L’indignazione dell’opposizione e la retromarcia sugli impegni

Le opposizioni parlano di voltafaccia. E come dare loro torto? Era stato promesso un iter veloce, un voto nell’Aula del Senato senza emendamenti, un segnale forte al Paese. Tutto archiviato nel giro di una riunione di Commissione. Il governo, per voce del ministro Roccella, assicura che “la legge si farà”. Un ritornello già sentito troppe volte, spesso preludio a modifiche che ne snaturano l’impianto originario o, peggio, a un progressivo affossamento.

Il paradosso: punire il femminicidio, rimandare il consenso

Intanto, il Parlamento è riuscito a introdurre nel codice penale il reato di femminicidio, provvedimento importante, certo, ma dal sapore amaro se affiancato alla retromarcia sul consenso. È difficile non cogliere il messaggio contraddittorio, lo Stato si mostra inflessibile quando la violenza ha già prodotto una vittima, ma tentenna quando si tratta di prevenire, definire, proteggere.

La responsabilità che Meloni non può eludere

Il blocco della legge Meloni–Schlein non è un semplice incidente di percorso. È il risultato di una coalizione divisa, di una leadership che non riesce a imporsi sui partner, di un calcolo politico che prevale sulla responsabilità istituzionale. Se davvero la presidente del Consiglio crede nelle parole pronunciate sul femminicidio, è ora che lo dimostri recuperando un accordo che lei stessa aveva rivendicato.

Perché quando la politica si paralizza sulle definizioni, la violenza non si ferma ad aspettare. E la credibilità delle istituzioni si sgretola, un rinvio alla volta.